A solo un anno e mezzo di distanza dall’uscita del loro eccellente debutto full-length “New Long Leg”, i Dry Cleaning sono tornati con un nuovo LP, appena realizzato dalla prestigiosa 4AD.

Per registrarlo la band di stanza a Londra si è trasferita ancora una volta ai mitici Rockfield Studios nelle campagne del Galles, facendosi aiutare anche in questo caso da John Parish (PJ Harvey, Eels, Aldous Harding, Sparklehorse) e dall’ingegnere del suono Joe Jones.

La press-release spiega che questo sophomore “è stato ispirato da una moltitudine di eventi, rappresentati o nella gelida disperazione esistenziale, o nel sorprendente calore nel celebrare la vita dei propri cari persi durante l’anno scorso.”

“Anna Calls From The Arctic”, che apre il nuovo lavoro dei Dry Cleaning, seppur dall’atmosfera cupa, non manca del solito spoken-word dai toni poetici della frontwoman Florence Shaw: dopo un inizio con interessanti linee di basso e percussioni eccitanti, la strumentazione si tranquillizza con l’aggiunta di synth e chitarra e l’intervento sorprendente di un morbido sax, che le donano una rilassata ambientazione jazzy moderna e piacevole.

La successiva “Kwenchy Kups”, invece, ricorda le loro prime cose, ma ora la voce di Florence risulta decisamente più melodica rispetto al passato e la chitarra jangly di Tom Dowse è una vera e propria delizia e sembra la perfetta ciliegina sulla torta.

Le linee di basso di Lewis Maynard in “Hot Penny Day” ci ricordano le cose più eccitanti di un certo Flea e aggiungono un tocco funk al brano, dove troviamo particolari melodie disegnate con le tastiere e ancora una volta il prezioso lavoro del sax, mentre la Shaw continua con quel suo tranquillo tono poetico e affascinante.

“Don’t Press Me” è il brano più corto degli undici presenti su “Stumpwork” (appena un minuto e cinquanta secondi), ma è probabilmente anche il più energico con una chitarra aggressiva che continua a portare pericolosi attacchi punky supportata da un handclapping piuttosto continuo.

Dall’altra parte “Liberty Log” è invece lunghissima (quasi sette minuti) e, con il suo ritmo basso e la sua atmosfera nebbiosa e claustrofobica, lascia alla Shaw il modo per riflettere con una certa tranquillità .

Un altro lavoro molto interessante, intrigante, poetico e ben costruito che porta i Dry Cleaning a compiere un ulteriore passo avanti nel loro cammino evolutivo e ad allargare i loro confini sonori: un grande e meritato applauso per questi quattro ragazzi inglesi.

Photo Credit: Ben Rayner