In occasione dell’uscita della versione super deluxe (5 CD o da 4 LP) del classico dei Beatles, “Revolver” (la nuova versione include un nuovo mix prodotto da Giles Martin in collaborazione con Sam Okell, proveniente dai master originali dell’album, oltre a 28 take inedite provenienti dalle session d’incisione del disco, tre demo domestiche ed un mix mono dell’album risalente al 1966, più un EP da quattro tracce con mix stereo nuovi e audio mono originale rimasterizzato per “Rain” e “Paperback Writer”), il nostro Michele Brigante Sanseverino ha voluto “dire la sua” su un disco che guardava al futuro…

C’è un filo invisibile che attraversa le epoche musicali e connette album, apparentemente diversi tra loro, ma che, invece, rappresentano tutti un salto in avanti, un salto verso il futuro, andando a creare, di conseguenza, una frattura insanabile con le manie di controllo e di manipolazione che caratterizzano ogni tempo presente e, quindi, andando a sfidare, nonostante tutto quello che, puntualmente, vanno predicando critici, saltimbanchi e parassiti dello show-business, le minacciose e oscure muse del caos: “Revolver” ““ “Never Mind The Bollocks” ““ “Nevermind“.

Nel 1966 i Beatles diedero vita al primo album rock, mettendo, praticamente, fine alla fase folk degli anni Sessanta e permettendo quell’evoluzione, sia a livello di singole produzioni, che di concetti espressi, che avrebbe avuto il suo apice nei grandi concept-album degli  anni Settanta, consentendo a quel prisma di sentimenti, di fobie e di ossessioni umane ““ che è “The Dark Side Of The Moon” ““ di aprirsi un varco nel nostro subconscio intimo e lunare.

Dagli archi pop-avanguardistici di “Eleanor Rigby” alle esperienze lisergiche che assumono una propria consistenza sonora in “Tomorrow Never Knows”, “Revolver” amplia quello che, fino ad allora, era considerato il ruolo che dovesse avere lo studio di registrazione, abbattendone i confini materiali e lasciandolo crescere verso il rumorismo, le esperienze oniriche, la sperimentazione, la ricerca poetica, la psichedelia, le innovazioni tecnologiche, le contaminazioni con oggetti e strumenti estranei al mondo della musica pop-rock.

“Revolver” riusciva, in un modo magico, a mettere assieme le diverse visioni della band: quella più metropolitana e mondana di Paul McCartney, quella più mistica e sprituale di George Harrison e quella più allucinata e fiabesca di John Lennon. Tre anime che, accompagnate dalle ritmiche accattivanti e mutevoli di Ringo Starr, co-esistono in tutte le 14 canzoni del disco, lasciando che, a seconda di quelle che sono le fluttuazioni personali dei nostri pensieri e delle nostre percezioni momentanee, una volta ne emerga una ed una volta un’altra.

Intanto le atmosfere più familiari e romantiche di “Got To Get You Into My Life” introducono elementi estranianti, elementi in grado di  esaltarti, ma anche di farti sprofondare nel baratro profondo dell’apatia; è un rischio, certo, ma è un rischio che, per la prima volta, la band sente come una sfida comune e necessaria per uscire dall’immagine stereotipata che gli è stata cucita addosso dai media. C’è la necessità  di raccontare altre storie, oltre l’amore radiofonico, storie che siano come la pioggia che ti scorre addosso, che siano come le buffe narrazioni che il vecchio marinaio di “Yellow Submarine” fa ai bambini, lasciandoli e lasciandoci tutti con la medesima domanda: è la verità  o sono solamente le sue bugie?

Intanto quei rumori sferraglianti ci rapiscono e ci portano altrove, quel vecchio registratore di cassa, infatti, per un attimo, ci permette di intuire qualcosa, di avere una visione sul prossimo futuro, con la pinkfloydiana “Money” che incombe, come un fantasma malvagio, su tutti quei bambini, i quali, adesso sono diventati adulti e stanno affogando in un oceano di ansie e di preoccupazioni alle quali “I Want To Tell You” offre una fuga possibile, ma è una fuga facile, pericolosa, assuefacente, distruttiva. Un attimo prima sei lì, con i tuoi amici, ascolti “She Said She Said” e sorridi soddisfatto e felice e un attimo dopo sai che ti manca qualcosa, sai che hai perduto ciò che amavi e decidi di andare, da solo, a cercare chi può aiutarti a capire, davvero, quello che sei, “Here, There And Everywhere”.