Lo storico Bloom di Mezzago ospita, questa sera, due artiste straordinarie, la londinese A.A. Williams come padrona di casa e ad aprire le danze, dalla Svezia, Karin Park.

A.A. passa per la prima volta in assoluto in Italia per presentare il suo secondo disco, “As The Moon Rests” pubblicato dalla Bella Union di Simon Raymonde e Robin Guthrie, valore aggiunto e label storica già  sinonimo di garanzia; un lavoro bellissimo, sicuramente tra le pubblicazioni migliori dell’anno (anche la nostra Valentina ne ha certificato le qualità  con un voto da lode), un album dove l’asticella della scrittura si posiziona ad altissimi livelli e le canzoni sono le vere protagoniste tra echi di post rock, accenni metal, una voce fuori dall’ordinario e quello che colpisce di più, una maturità  acquisita e valorizzata. La capacità  indubbia della Williams di mescolare, paradossalmente, un songwriting popular alle trame oscure di un approccio quasi doom, con tanto di distorsioni sature e dal vivo le due anime ripetono l’alchimia delle registrazioni, andando ad amalgamarsi alla perfezione, con la fondamentale presenza alla chitarra di un compagno di viaggio con un suono classico, a tratti sonico, ideale contraltare alla strumentazione della stessa A.A. in odore di Paradise Lost.

Karin Park, al contrario, classe 1978, è un artista con un passato sostanzioso e una carriera lunga già  quasi due decadi con diverse releases tra album sulla lunga distanza, EP e singoli, ha raccolto un certo riscontro in Norvegia, dove vive, ha un’anima più solare ed eighties, tra reminiscenze di elettronica nordica e un certo pop d’autore, mi ha ricordato, soprattutto nel timbro, qualcosa della seminale e connazionale Fever Ray.

Parte la stessa Karin intorno alle 21,15 con un set in solitaria, una fisicità  stratosferica, immersa in una loop station analogica, posizionata esattamente sotto il palco, praticamente in mezzo al pubblico, tra moog, korg e mellotrom, ci regala un concerto ipnotico, atmosfere dilatate e ritmi danzerecci, chiudendo il tutto con una “Blue Roses” (singolo trainante del suo ultimo disco in ordine di tempo, un EP uscito nel 2018 prima di alcuni singoli negli anni successivi) in versione organo e voce, magnetica.

Subito dopo A.A. in full band, elegantissima e stilosissima, si affaccia tra luci scure e dalle sue tenebre tormentate parte un viaggio di dodici canzoni con quasi tutto il  disco nuovo in cattedra, di fronte ad artisti così, c’è poco di cui scrivere, talmente rasentano la perfezione.

Apre con l’accoppiata “Hollow Heart” ed “Evaporate”, le stesse della tracklist, ma tutto è studiato per dare alla narrazione una sorta di correlata e minuziosa sequenza.

Tra le altre arriva una “The Echo” da pelle d’oca, che per il sottoscritto, è nella top delle migliori canzoni dell’anno, una ballad sofferta quanto clamorosa e, per scrivere un brano del genere, bisogna appartenere ad un altra categoria, chiudono la title track “As The Moon Rests” e l’abituale “Melt”, perle rare.

Non c’è l’affluenza delle grandi occasioni e un pò me l’aspettavo, non siamo di fronte ad artiste in odore di hype, secondo i canoni odierni della nuova discografia o delle fantomatiche playlist delle piattaforme e non c’è nemmeno la curiosità  da parte del nuovo pubblico di scoprire cose fuori dall’ordinario, è sempre un pò un peccato, ma come dire: va bene così.