Trovo alquanto curioso che nella miriade di recensioni sul nuovo progetto di Van Morrison nessuno abbia ricordato il suo album del 2000 “The Skiffle Sessions – Live in Belfast 1998″, attribuito a Van Morrison, Chris Barber, Lonnie Donegan ovvero il nostro ed uno tra i più famosi esponenti dello Skiffle ed il suo fidato bassista.

La sede live fu l’occasione per omaggiare un genere ormai offuscato alla memoria dei più.

Fu altresì un modo per Van di scandagliare l’ennesimo universo sonoro a lui caro e dare al pubblico nuova conoscenza di standard persi nei meandri dei tempi che furono. Giova ricordare infatti come Van Morrison abbia disseminato la sua discografia di progetti simili, che non si possono definire semplici album di cover, ma veri e propri viaggi tematici relativi a storie musicali ritenute degne di omaggio. Citiamo a titolo esemplificativo perlomeno l’album con i Chieftains “Irish Heartbeat”, “You win again” con Linda Gail Lewis, sorella di Jerry Lee, il country oriented “Pay The Devil”, il sin dal titolo esplicativo “Tell Me Something: The Songs of Mose Allison” ed il recentissimo jazzato “Versatile”.

Noterete che solo per addurre degli esempi si è finiti nel comporre un elenco, circostanza che ritorna se dovessimo elencare, per l’appunto, le numerosissime uscite discografiche che si stanno susseguendo negli ultimi anni, con la volontà dell’irlandese di condividere la sua bruciante urgenza espressiva. Parliamo infatti di ben dieci album negli ultimi otto anni ed il rischio di sovraesposizione appare evidente.

Se infatti è innegabile, che ne dicano i detrattori, che vere cadute di tono sono assenti , è d’altra parte corretto ammettere che la qualità non è sempre eccelsa e lavori come “Van Morrison Latest Record Project, Volume 1″(2021) (pure doppio) lasciano perplessi, se pur in contraltare a lavori pregevolissimi come “Three Chords & the Truth”(2019) .
Rimane però il dubbio sull’utilità di un’ennesima uscita discografica a seguire il recente (e non eccelso) “What’s It Gonna Take?” del 2022, per lo più con riferimento ancora lo skiffle.

Come divertissement lo possiamo pure concedere, ma mi chiedo se ne valesse davvero la pena.

Una recensione che i maligni potrebbero, e non a torto, immaginare che si possa scrivere anche senza aver ascoltato l’album (doppio) con particolare attenzione. Non siamo infatti molto lontani dalla verità: ascoltando queste 23 cover, chi è affezionato a Van continuerà ad ammirarne la curiosità nel voler approcciare un progetto diverso (ma questa volta forse meno, visto che sullo skiffle si tratta di un ritorno), l’impeccabile stile vocale che non sente il peso dell’età, la perfetta padronanza e scelta degli arrangiamenti e l’acume nella scelta del repertorio. Per tutti gli altri un episodio trascurabile che passerà sottotraccia, nulla che possa davvero destare interesse.

L’album non ha vere pecche, ma se in altre sedi ero stato più magnanimo, questa volta ci limitiamo ad una meritata sufficienza, ma nulla di più .