10 anni fa le Savages ci colpivano, non poco, con il loro album d’sordio. Ci sarebbe da aprire una bella parentesi su come questa band si sia persa per strada, ma andremmo su territori che, ora, ci farebbero solo arrabbiare. Quindi torniamo a 10 anni fa con la recensione della nostra Valentina Natale…

Inizia con un estratto di “Opening Night”, film di John Cassavettes del 1977, “Silence Yourself”. E quei quarantanove secondi lasciano in eredità  un’atmosfera tagliente e dark, che contagia l’intero disco d’esordio delle Savages. Quartetto di Londra tutto al femminile (alla frontwoman Jehnny Beth, che fa anche parte del duo John And Jehn oltre ad essere attrice part-time, si affiancano Ayse Hassan al basso, Fay Milton alla batteria e Gemma Thompson alla chitarra) che, grazie al magnetismo mostrato sul palco e a un riuscito mix di sound post punk e tanta grinta, ha attirato l’attenzione della prestigiosa Matador (etichetta che pubblica l’album insieme a quella gestita proprio da Jehnny Beth, la Pop Noire).

Sono un gruppo onesto le Savages e lo ammettono subito che in “Silence Yourself” non c’è nulla che musicalmente non si sia già  visto e sentito. L’essenzialità  della copertina black & white, i ritmi sincopati alla Wire, distorsioni e sassofoni no wave, un gran basso (che vale mezza stella in più) e una batteria primitivi e trascinanti che per impeto ricordano gli exploit delle prime Slits, l’urgenza di un cantato che unisce l’intensità  e il piglio di Patti Smith e momenti à  la Siouxsie. Queste ragazze però credono in quello che dicono, ci credono e molto. Un particolare non da poco, che le differenzia da tante altre colleghe. Sicure dei propri mezzi, intrepide e furiose, fanno della semplicità  la propria bandiera. Senza indugi, senza fronzoli, badano alla sostanza, pretendono di essere ascoltate (“I Am Here”). E quando parlano d’amore lo fanno con insofferenza (“Husbands”, “No Face”, “She Will”) sondandone i lati più oscuri (“Hit Me”, “Strife”, “Marshall Dear”). Niente cuoricini e biglietti di San Valentino, dunque. Il mondo che descrivono in “Waiting For A Sign”, “City’s Full” e “Shut Up”, un mondo in cui bisogna solo sorridere nonostante tutto, pedalare in silenzio e lottare per strappare agli altri un posto al sole, non le soddisfa neanche un po’. Tanto che con “Dead Nature” sembrano volergli fare il funerale. “Silence Yourself” è il loro modo di ribellarsi, di mostrare il dito medio e dire che no, non hanno intenzione di stare zitte e incassare.

Non sono ciniche, non rincorrono le mode Jehnny, Ayse, Fay e Emma. La loro indignazione, il loro fervore, lo stupore per quanto poco si sia evoluta la razza umana sono sentimenti autentici. Ed è soprattutto questo a restare impresso nella memoria, quando l’album finisce. Magari le Savages non riusciranno nell’ambizioso progetto che hanno detto di voler perseguire: cambiare il modo in cui molte persone vivono i rapporti personali e affettivi, il proprio lavoro, attraverso la musica. Chissà , forse sono perfino un po’ ingenue a pensare di poterlo fare. Ma hanno tutta l’intenzione di provarci, di impegnarsi fino in fondo per raggiungere l’obiettivo. E di questo gli và  dato atto e merito. Non solo convinte, ma anche convincenti.

Pubblicazione: 6 maggio 2013
Genere: Post-punk, indie-rock
Lunghezza: 38:39
Label: Matador, Pop Noire
Produttore: Johnny Hostile, Rodaidh McDonald

Tracklist:

  1. Shut Up
  2. I Am Here
  3. City’s Full
  4. Strife
  5. Waiting for a Sign
  6. Dead Nature
  7. She Will
  8. No Face
  9. Hit Me
  10. Husbands
  11. Marshal Dear