L’ultima, purtroppo, fatica di una delle band di maggior culto degli anni novanta compie oggi dieci anni. Nella seconda metà dei nineties gli Oblivians, con il loro fulmineo garage punk lo-fi che affondava a piene mani nel blues, indicarono la via a una vagonata di successivi gruppi mainstream (White Stripes e Black Keys i primi che vengono alla mente), finendo per essere avanguardistici, seminali eppure di nicchia.

La band, stradaiola nelle intenzioni e istintiva nelle soluzioni, aveva esordito nel 1995 con “Soul Food” e aveva proseguito il proprio esplosivo percorso, fatto di laceranti blues riletti attraverso l’abrasività del punk, l’anno successivo con “Popular Favorites”, mentre il terzo capitolo della saga – “…Play Nine Songs with Mr. Quintron” – uscì nel 1997; nel mezzo altre opere a go-go (EP, LP, split, collaborazioni e live) con una miscela sonora ruvida e irruente coronata da un cantato rabbioso innescato da un songwriting polemico come comun denominatore. Dopo il terzo disco la sigla sociale, se non si considera il tour di rimpatriata del 2009, chiuse. Ma nessuno dei tre chitarristi di Memphis, che quando collaboravano si alternavano alla batteria e alla voce noncuranti dell’assenza del basso, è rimasto con le mani in mano: Greg Cartwright ha dato vita ai recentemente sciolti Reigning Sound e si è dilettato con i Detroit Cobras, di cui ha prodotto il fondamentale “Baby”; Jack Yarber si è occupato della propria, interessante, carriera solista, oltreché a un’infinità di collaborazioni, mentre Eric Friendl si è concentrato sulla sua casa discografica, la mitica Goner Records nel cui catalogo figurano Jay Reatard e Ty Segall, due che hanno ascoltato con cura gli Oblivians.

Dopo sedici anni però ecco il reunion album “Desperation”: compendio e, allo stesso tempo, istantanea sfocata in cui i tre non guardano più nella medesima direzione permettendo al loro recente passato di influenzare le loro soluzioni stilistiche, discorso che vale soprattutto per Greg giacché il sound dei Reigning Sound riecheggia più volte nelle tracce del disco. Ma non per questo “Desperation” non merita le giuste e dovute celebrazioni, e non perché si tratta dell’ultimo lavoro di un gruppo leggendario, ma piuttosto perché è un album interessante, solido, capace di catturare e inchiodare l’ascoltatore. Magnificamente incorniciato da una splendida copertina in cui si staglia una misteriosa mora (per una volta non impersonata dalla modella D’Lana Tunnell, più volte immortalata nelle cover della band: “Never Enough”, “Six Of The Best”, “Sympathy Sessions”) vicino ad un juke-box in una sordida penombra, “Desperation”, registrato all’Easy Eye Studio di Dan Auerbach, si apre con l’impetuosa “I’ll be gone” che veloce sferraglia e incalza indomita ma, per nulla rassicurante, ammonisce: “That’s rock and roll, what’s new get’s old and well, before too long I won’t have to watch ‘cause baby, I’ll be gone”.

Si prosegue con “Loving cup”, rutilante blues dei Paul Butterfield Blues Band imbastardito dal punk, e con “Em”, rock’n’roll primigenio allo stato brado – esattamente come “Back street hangout” di Yarber – rinchiuso in nemmeno due minuti. La sinuosa “Woke up in a police car”, che porta la firma di Friendl, anticipa “Call the police”, cover di Stephanie McDee, in cui è presente l’organo di Robert Rolston aka il Mr. Quintron del terzo lavoro del gruppo. In “Pinball king” di Cartwright, principale autore del disco, fanno capolino i Reigning Sound, mentre “Run for cover”, farina del sacco di Yarber, è un incendiario punk sfumato boogie e “Come a little closer” un protopunk che sembra provenire da una decade precedente. La penultima canzone di Yarber è “Little war chid”, un ballatone – per come lo possono intendere gli Oblivians – glam che precede l’ultimo pezzo di Friendl, il frenetico “Fire detector”.

Ci si incammina verso la chiusura, ad altissima intensità, dell’opera: prima la magnificamente sguaiata “Oblivion”, quindi la traccia che dà il titolo all’album ed è autentico e vigoroso rock primitivo, infine “Mama guitar”, ribollente rockabilly con il quale la band si congeda dai propri fan. Tutto finito quindi? Macché, i nostri nel 2018 si sono imbarcati in un tour mondiale che li ha portati anche in Italia per quattro date. Poco prima dell’uscita del disco Friendl disse: «La gente odierà “Desperation” quando uscirà, ma fra trent’anni, quando non avrà più importanza i ragazzi penseranno che è davvero fantastico», concetto forse ribadito nel passaggio sibillino di “I’ll be gone” che recita: “Your dreams ain’t got nothin’ to do with mine“; tocca smentire Eric: di anni ne sono passati “appena” dieci e già si pensa che l’ultimo album degli Oblivians sia fantastico.

Per approfondire la conoscenza degli Oblivians si consiglia la visione del documentario “This film should not exist” (2020) di Gisella Albertini e Massimo Scocca.

Data di pubblicazione: 28 maggio 2013
Tracce: 14
Lunghezza: 31:32
Etichetta:  In The Red Recordings
Produttore: Greg Cartwright e Doug Easley

  1. I’ll be gone
  2. Loving cup
  3. Em
  4. Woke up in a police car
  5. Call the police
  6. Pinball king
  7. Run for cover
  8. Come a little closer
  9. Little war chid
  10. Fire detector
  11. Oblivion
  12. Back street hangout
  13. Desperation
  14. Mama guitar