Dal primo marzo il buon Cisco, che per tanti anni è stato frontman dei Modena City Ramblers è impegnato in un tour celebrativo di “Riportando tutto a casa”, primo album del gruppo, nel quale ha chiamato a raccolta sul palco diversi ex sodali che come lui vi erano in organico sin dalla prim’ora.
La band è tuttora attivissima, sia a livello discografico (è uscito sul finire del 2023 l’ultimo album di inediti “Altomare”) che soprattutto sul fronte live, ma l’omaggio al tempo che fu assume un grande significato perché trent’anni fa, proprio in questi giorni, veniva appunto dato alle stampe il primo capitolo di questo folgorante percorso.
Era marzo ’94 infatti quando, grazie all’illuminata etichetta romana Helter Skelter Records, “Riportando tutto a casa” divenne realtà, andando a premiare gli sforzi di quella talentuosa e variopinta combriccola.
I primi passi i ragazzi li tennero nel ’91 quando l’incontro tra Alberto Morselli, Giovanni Rubbiani e Alberto Cottica (tutti provenienti dai Lontano da dove) con Franco D’Aniello e Lucio Gaetani (dell’Abbazia dei Folli) fece nascere una bella alchimia in nome di passioni comuni, tra tutte quella per la magica Irlanda. Da lì a meno di un anno si sarebbero aggiunti altri elementi cruciali come Massimo Ghiacci e Stefano Cisco Bellotti e le cose cominciarono così ad assumere una forma più definitiva.
Ok il divertimento, suonare tra amici e improvvisare, ma stava maturando la volontà di creare qualcosa di personale, in nome dell’amore per il folk – e per gruppi come i Pogues su tutti -, e la voglia al contempo di rivendicare le proprie origini, valorizzandole.
Fu sperimentato quindi il felice connubio dell’utilizzo del dialetto emiliano unito a una musica di matrice irlandese, popolare, col recupero oltretutto di brani tradizionali. Dopo i buoni riscontri di “Combat Folk”, primo demo realizzato l’anno precedente, dal titolo programmatico per comprendere la matrice del loro suono e dei loro intenti (che già conteneva in embrione alcuni pezzi originali poi divenuti degli autentici classici) fu quindi individuata una formula giusta, tanto che le idee iniziarono a sgorgare libere come un flusso di ispirazione senza precedenti, tutte magicamente fatte confluire poi nell’album che oggi andiamo a ricordare.
Sotto la produzione artistica di Kaba Cavazzuti (in seguito per un periodo anche lui in organico come musicista a tutti gli effetti) e quella esecutiva di Valerio Soave per Mescal col passaggio alla PolyGram, “Riportando tutto a casa” si dimostra sin dal primo ascolto un lavoro compiuto, con una sua definita (e strabordante) personalità, e ancora oggi mi sento di dire che non abbia perso un grammo di quella forza comunicativa, del suo fascino primordiale e della sua potenza poetica.
A confermare quanto appena scritto basti ascoltare la splendida “In un giorno di pioggia” (introdotta dalla voce di Ann Dwyer a intonare l’ode “Mo Ghile Mear”) che apre i battenti emozionando con i richiami all’Irlanda e una musica struggente dai rintocchi celestiali, il tutto valorizzato dal canto di Alberto Morselli, così profondo e magistralmente espressivo.
Parole e musica sono ad opera di Rubbiani e Cottica, un tandem inossidabile capace di mescolare impegno e poesia, come si evince pure nell’incalzante “Quarant’anni”, con protagonista la Prima, martoriata, Repubblica; nell’intensa “Morte di un poeta” (dedicata a Helno, indimenticabile cantante del gruppo francese Les Négresses Vertes, che ci aveva lasciati nel ’93) o nell’impetuosa “Ahmed l’ambulante”, la cui musica fu composta da Ghiacci su un testo che è l’adattamento di una poesia del grande Stefano Benni.
Furono molto preziosi in quel disco anche i contributi e le intuizioni in fase di arrangiamento del più esperto Gaetani, profondo conoscitore della materia e abilissimo polistrumentista, ma la natura del progetto rimane assolutamente collettiva e a fare la differenza in questa fase era davvero la coesione di tante individualità, l’incoscienza e l’intraprendenza, la genuinità di questo ensemble, tutte componenti che seppero, grazie a dosi massicce di folk irlandese, dare voce a tante persone che si riconoscevano in un determinato immaginario musicale e narrativo.
A tal proposito si prendano ad esempio la dichiarazione di intenti “Tant par tachèr”, un canto gaelico cui si aggiungeva sul finale un jig scozzese intitolato “The Atholl Highlanders”; la frenetica “Il bicchiere dell’addio” (aggiunta nella ristampa della BlackOut-PolyGram) dove interviene mr. Bob Geldof e la sfrenata “The Great Song of Indifference” dello stesso cantante e attivista irlandese, qui resa in una divertita versione in dialetto modenese.
Un altro aspetto che caratterizzava il gruppo ai suoi inizi è l’utilizzo delle due voci, del tutto complementari, di Morselli e Bellotti che in alcuni brani si alternavano e si intrecciavano con ottimi risultati, come nell’accorata “I funerali di Berlinguer”, dove inoltre l’utilizzo del dialetto rende tutto assai naturale e coinvolgente. Esiste pure una ragguardevole cover de “Gli amanti d’Irlanda”, realizzata per il progetto “I disertori”, un album di tributo a Ivano Fossati pubblicato anch’esso nel ’94, in cui i due cantanti raggiungono vette interpretative assolute.
E poi ci sono delle punte di diamante autentiche, come la profonda “Canto di Natale” (una sorta di canzone anti-natalizia ma che riesce a catturarne ugualmente lo spirito, arrivando finanche a commuovere); l’ironica – e malinconia insieme – “Delinqueint ed Mòdna”; la dolcissima “Ninnananna” (con parole come Un giorno, guidati da stelle sicure ci ritroveremo in qualche angolo di un mondo lontano, che vorrei tatuare sulla pelle!), per non dire del ripescaggio di un inno della Resistenza come “Bella ciao” che la band emiliana riuscì a rinverdire e rendere nuovamente trasversale, immortale.
“Riportando tutto a casa” in definitiva non fu solo un debutto con i fiocchi ma rappresenta invero un disco in tutto e per tutto ispirato, vivo, pulsante, contagioso potremmo aggiungere con i suoi ritmi e quelle melodie a contornare dei messaggi che a ragione si possono definire impegnati.
Partendo dal nulla questi ragazzi si imposero presto sulla scena nazionale, raccogliendo enormi consensi di pubblico (composto in larga parte da giovani) ma conoscendo ben presto delle critiche anche feroci, perché si sa, quando ci si espone è più facile essere attaccati.
Eppure a distanza di trent’anni il nome dei Modena City Ramblers è sempre presente, ancora fuori moda (forse più di prima) e poco allineato, e con un catalogo assai copioso al cui interno può vantare un disco come “Riportando tutto a casa”, che il tempo non ha certo scalfito, anzi, ha suggellato a capolavoro.
Data di pubblicazione: 7 marzo 1994
Registrato: dal 3 al 14 dicembre ’93 da Kaba Cavazzuti presso Esagono Recording Studio e Vida Studio di Rubiera (RE), eccetto “The Great Song of Indifference”, registrata dal vivo il 29 dicembre ’93 e “Il bicchiere dell’addio” registrata il 10 e 13 luglio ’94 presso Esagono Recording Studio (inserita nella ristampa pubblicata da BlackOut-PolyGram nel novembre del 1994)
Tracce: 13
Lunghezza: 56:43
Etichetta: Helter Skelter Records/PolyGram
Produttore: Kaba Cavazzuti (prod. artistica)/Valerio Soave (prod. esecutiva)
Tracklist:
1. In un giorno di pioggia
2. Tant par tachèr/The Atholl Highlanders
3. Quarant’anni
4. Delinqueint ed Mòdna
5. Morte di un poeta
6. I funerali di Berlinguer
7. Il bicchiere dell’addio
8. Canto di Natale
9. Ahmed l’ambulante
10. Contessa
11. Bella ciao
12. The Great Song of Indifference
13. Ninnananna