A meno da una settimana dalla tredicesima edizione di Spring Attitude, atteso dal 13 e il 14 settembre per il terzo anno consecutivo negli spazi en plein air degli Studi di Cinecittà, una guida ai migliori 11 album per conoscere al meglio gli artisti che si esibiranno in un festival in perenne evoluzione diventato appuntamento imperdibile per gli appassionati, italiani e non, di musica e cultura contomporenea.
VIAGRA BOYS – “Welfare Jazz” [ Year0001 – 2021 ] post-punk,indie-rockIn quaranta minuti i Viagra Boys ci mostrano tutto il loro eclettismo, portandoci come dono per il nuovo anno un album vivace, diverso, solido e spesso imprevedibile e fuori dagli schemi: vederli su un palco (non appena sarà finita la pandemia) sarà senza dubbio un’esperienza da provare ancora una volta, ma per il momento gustiamoci questo LP, da ascoltare più e più volte.
(Antonio Paolo Zucchelli)
Un disco mistico, a tratti esoterico, che parte dalle radici folk e jazz contaminandole con l’elettronica, i beat furiosi e sincopati. Sette tracce molto particolari e di gran classe quelle prodotte da Iosonouncane dove alla ricerca musicale si unisce quella linguistica con Daniela Pes che crea il suo linguaggio personalissimo e privato fatto di antiche parole sarde e altre inventate con originalità e passione.
(Valentina Natale)
Oltre alla “singolosa” “Running” che regala un misto elettro tra note smussate ed energia fastidiosa, c’è l’altro biglietto da visita “I am the King”, brano agli antipodi, quasi una loro personale visione del concetto di ballad che fa da contraltare all’interessante “Clowns” sempre nel girone delle canzoni più introspettive, più ficcante “King of the slugs”, declamato inno dance, pulsante e claustrofobico, mentre “WIther” prelude ad un caos annunciato nella versione live.
(Fabio Campetti)
Un esordio col botto, un disco che nonostante sia poco pop nelle forme, sembra invece trasmettere piacevoli sensazioni all’ascoltatore già da subito. Come un forte temporale dopo una lunga estate afosa, manca solo di odorare la terra bagnata ed osservare le chiocciole attaccarsi in ogni dove.
(Alessio Miseri)
Il poliedrico artista scozzese Barry Can’t Swim al debutto su Ninja Tune con 11 tracce che spaziano dalla deep house al jazz, dall’ambient alla carica percussiva dell’afrobeat.
(IfB Redazione)
Una classe senza tempo quella di Marta Del Grandi, in un periodo storico in cui la grazia e l’individualità si disperdono in mille produzioni seriali, la sua unicità è qualcosa di cui andare fieri. Esplorazione sonora e viaggio fiabesco tra le epoche, accarezzato da echi di terre lontane, intuizioni ataviche e umori folk con tocchi elettronici, “Selva” è un ritratto vivido e luminoso del suo universo incantato, da ascoltare ad occhi chiusi, fino alla fine del mondo.
(Emanuela Tortelli)
I Film School non tradiscono nè chi cerca la sensazione eterea nè chi predilige l’approccio più fisico, mentre in ogni brano emerge un ritornello che entra subito in testa. “Crushin” è vellutata magia d’ingresso, l’anticamera a un mondo che non disdegna bassi penetranti (“Bye Bye Bird”) o incursioni nella wave anni ’80 (i White Lies ucciderebbero per un brano come “The Celebration”, che guarda anche al post-punk con spigoli meno arrotondati), ma anche momenti più avvolgenti plasmati col synth mentre la sezione ritimica si fa secca e tesa (“Waking Up”, con ancora il basso alla New Order) e bagliori shoegaze (“Go Low”).
(Riccardo Cavrioli)
I bar italia sono una di quelle band che ami o ignori sbadatamente. Qui la via di mezzo è solo un’opzione molto improbabile.
Una percentuale altissima di brani ascoltati su spotify non superano i cinque secondi, si passa velocemente alla proposta successiva. I brani di “Tracey Denim” probabilmente non fanno eccezione ma quei cinque secondi sono qui una benedizione: chi li supera potrebbe ripercorrere l’esperienza dell’eroe Ulisse, prigioniero della Dea Calipso e costretto a vivere in uno stato di beatitudine.
(Zacky Appiani)
Le undici canzoni di Cosmo ci restituiscono, invece, la fiducia perduta, nonché un iper-spazio di sogni da poter realizzare, un luminoso parco-giochi di sonorità dance e narrazioni umane che appaiono interessanti proprio perché sono uniche, sono diverse, sono sfuggenti, sono l’oltre che ti entra dentro, che ti fa muovere, ti fa ballare, che ti fa correre incontro a chi ami, mentre, intanto, il sudore e la gioia si mischiano tra loro, si mischiano agli innumerevoli futuri che possiamo pensare, coltivare, provare e continuare a modificare, finché non troveremo quello che ci piace di più, quello che ci rende completi, quello che ci fa felici.
(Michele Brigante Sanseverino)
Ma da queste odi al nichilismo trasuda sempre una sardonica consapevolezza, anche oltre il limite del cinismo, che va a costituire il filo rosso d’un logos altrimenti sconclusionato, il chè rende questa versione ipercinetica e burina dei CCCP un caso eclatante dell’underground italiano, un’autentica boccata d’aria fresca nel generale intruppamento perbenista che sta soffocando ogni deriva artistica ed espressiva. C’è ancora molto da limare, in primis l’eccessiva ripetitività nella struttura di alcuni brani, a cui manca come il pane il colpo di genio dell’improvvisazione: ma, dati i margini, questa potrebbe anche essere una buona notizia.
(And Back Crash)
Il background acustico tutto pianoforte di Ólafur Arnalds si unisce all’electro pop synth di Janus per dare vita ad un progetto dove la techno minimale è rivisitata con elementi orchestrali.
(IfB Redazione)