10. …A TOYS ORCHESTRA
MIDNIGHT AGAIN
[ Santeria]
La nostra recensione

Si conclude con questo ottimo “Midnight Again” la trilogia della mezzanotte della band originaria di Agropoli ma di base Bologna, per me disco italiano del 2024. Album maturo, cinematico e coinvolgente, cantato in inglese (come i precedenti) con ambizioni mittel-europee. Orchestrale e notturno, questo album non è mai banale e scontato, ma nasconde dietro ad ogni passaggio delle sfumature sfuggite al primo ascolto. E anche se alcune ritmiche si ripetono, si trovano sempre nuove ispirazioni. Rimembranze di Arcade Fire (Suburbs), Nick Cave e Mark Lanegan non possono che stimolare i palati più educati. ORCHESTRALE

9. THE SMILE
Cutouts
[ XL Recordings ]
La nostra recensione

La conclusione della trilogia di The Smile sancisce che quello con Tom Yorke, Jonny Greenwood e Tom Skinner non è un semplice side project ma una stella che brilla di luce propria, che assume nei suoi “ritagli” (la traduzione del titolo) la sua fisionomia definitiva. Lo spettro sonoro si allarga rispetto a “Wall of Eyes” del quale invece mantiene lo spirito essenzialmente sperimentale ed eclettico. E le accelerazioni e brusche frenate tra un brano e l’altro sono come le ripetute per runner audaci, allenano i cuori più pigri. ECLETTICO

8. JACK WHITE
No Name
[ Third Man Records ]
La nostra recensione

Quando John Anthony Gillis al secolo Jack White, da Detroit, Michigan, farà un disco brutto, avvisatemi. Si perchè malgrado i tentativi di nascondere il titolo e l’autore e distribuirlo gratuitamente nei negozi della Third Man Records ai fortunati avventori a Nashville, Detroit e Londra il 19 luglio scorso, il tocco del genio è apparso evidente fin dai primi riff. Tra Black Sabbath (“Heaven And Hell”, lato A) e Rolling Stones (“Black and Blue”, lato B), passando dai Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Un sound che non passa mai di moda e che, anzi; si evolve in infiniti cerchi concentrici. EVOLUTO

https://open.spotify.com/intl-it/album/4j6OkbZmVIqJYDLJbiWHbX?si=8UNp92wEScC9oUZ2RitTXg

7. RIDE
Interplay
[ Wichita ]
La nostra recensione

Leave Them All Behind, lasciateli tutti indietro: il vecchio mantra dei Ride sembra tornare utile adesso che molte band tornano invece alle sonorità shoegazer. Loro invece si evolvono ulteriormente, virano verso influenze New Order con l’aggiunta di qualche synth ipnotizzante stile Spacemen 3. Alla fine il disco non sembra l’ennesima replica di “Nowhere” e non stona nella discografia del quartetto di Oxford che ne inserisce molti brani anche nelle setlist dal vivo con equilibrio e stile. Certo avrei preferito una stampa su di un unico vinile a 33 giri invece del doppio a 45 giri, ma non si può avere tutto. SINTETICO

6. FOUR TET
Three
[ Text Records ]
La nostra recensione

Il dodicesimo album di Kieran Hebden al secolo Four Tet, da Putney nel sud di Londra, è l’ennesima riprova di come il talentuoso producer, dj e polistrumentista inglese abbia raggiunto ormai la piena maturità artistica e sonora. La sua capacità unica di fondere deep house e minimal techno, musica sperimentale e down tempo è assai evidente in queste 8 tracce, 4 per lato, che guida l’ascoltatore in un viaggio onirico e rilassante di circa ¾ d’ora. Se ci si concentra si sente un gran lavoro di layer sovrapposti, strati sonori da assaporare singolarmente o tutti insieme. STRATIFICATO

5. NEWDAD
Madra
[ Fair Youth ]
La nostra recensione

Ormai è matematico: quando la produzione di un disco ha quella profondità di suono lo giro e trovo il suo nome tra i crediti: Alan Moulder. Anche l’album d’esordio degli irlandesi NewDad, da Galway, ha quel suono che mi colpisce direttamente al cuore. Pur non inventando nulla, sospesi tra il post-grunge dei Garbage ed il guitar pop dei Beach House, dei NewDad mi è piaciuta la sfrontatezza della vocalist Julie Dawson che a tratti mi ricorda persino Hope Sandoval dei Mazzy Star al punto che il brano “Sickly Sweet” è diventato un tormentone per me tanto da finire nella top 5 del Wrapped di fine anno di Spotify, senza contare i giri del vinile. BEST DEBUT OF THE YEAR.

4. NILÜFER YANYA
My Method Actor
[ Ninja Tune ]
La nostra recensione

Se mettessimo insieme elementi di grunge, jazz, folk, soul, R&B, trip hop, post-punk e dream pop che cosa succederebbe? Nulla, semplicemente staremo ascoltando il terzo album dell’artista inglese, nemmeno trentenne Nilüfer Yanya, che già aveva stupito con il precedente “Painless” del 2022. L’album è molto godibile ed alterna tratti poppegianti a chitarre hyper distorte, che sicuramente allontanano la cantautrice dal mainstream ma ce la rendono assai simpatica. Non sarà mai Taylor Swift, ma la ragazza ha talento e chissà se sotto sotto non sia già dove ha sempre sognato di stare, nel cuore di pochi ma buoni. ORIGINALE

3. KING HANNAH
Big Swimmer
[ City Slang ]
La nostra recensione

Dopo l’ottimo esordio “I’m not sorry, I was just being me” del 2022 ecco che il sophomore “Big Swimmer” mette le ali al duo di Liverpool, capaci di non inventare nulla ma di farci sognare con quel che c’è. Chiudendo gli occhi si sente la sfrontatezza dei Sonic Youth, il post rock degli Slint, non senza fronzoli di blues e di psichedelia in stile Velvet Underground e del sano desert rock. Hannah Merrick e Craig Whittle sembrano cresciuti più dall’altra parte dell’oceano che nel regno unito. Ma naufragar ci è dolce in questo mare… INNEGABILE

2. GOD IS AN ASTRONAUT
Embers
[ Napalm Records ]
La nostra recensione

Il titolo “Eembers” cioè “braci” spiega bene l’intento del terzetto irlandese dei GIAA: cuocere l’ascoltatore lentamente, fino in profondità. Ogni brano è un crescendo, a tratti toccante che diventa avvolgente, poi coinvolgente ed infine travolgente. L’aggiunta di sitar, violoncello e svariate percussioni hanno dato al sound prog-rock post-rock della band una insperata varietà avvolgendo i brani di sfumature etniche, esoteriche, mistiche. Il risultato è un viaggio in una dimensione rinnovata, per nulla scontata o ripetitiva / derivativa. E alla fine ti ritrovi brasato da questo sound. TRAVOLGENTE

1. GOAT
GOAT
[ Rocket Recordings ]
La nostra recensione

Dove trovo le parole per definire il sesto album degli svedesi Goat, dei quali nessuno conosce i nomi nè i volti? Proverei dicendo che l’album omonimo suona molto groovy, funky, afro beat, psichedelico, world music, cantato come Perry Farrell dei Jane’s Addiction. Se vi piacciono indistintamente e contemporaneamente i Funkadelic, Frank Zappa, i Tinariwen e gli immancabili Led Zeppelin allora questo album sarà anche il vostro album of the year 2024. Il disco non stanca mai, lo si rimette dall’inizio a ripetizione fino a confondere il lato A dal lato B. SBALORDITIVO