Credit: Mauro Talamonti

Mi ero ripromesso di non aggiungere nulla sulla scomparsa prematura di Paolo Benvegnù, anche perché questa notizia mi ha lasciato senza parole…troppo inaspettata, sconvolgente, da non rendermene conto fino in fondo.
Però ho questo groppo in gola…dell’artista Paolo mi è capitato in più occasioni di scrivere nel corso degli anni, sempre sottolineandone una grandezza che faticavo a riscontrare in altri cantautori a lui contemporanei.

Era arrivato all’apice della carriera forse proprio quest’anno, con un riconoscimento (seppur a mio avviso tardivo) assolutamente meritato come la Targa Tenco per il Migliore Album in assoluto con “È inutile parlare d’amore“, ma in fondo tutta la sua discografia parlava già per se’, con lavori di una qualità superiore alla media e, vien da dire, nessun tentativo di emularlo da parte degli altri, anche perché in possesso davvero di uno stile peculiare e originale, di una penna acuta ed arguta, non replicabile facilmente.
Ma poi c’era l’uomo, la persona, che ebbi modo di conoscere bene durante i suoi anni alla guida dei favolosi Scisma, quando giovane studente universitario entrai a Radio Popolare Verona, dove già collaborava l’amico e collega di IFB Riccardo Cavrioli. Insieme noi due abbiamo avuto modo di intervistarlo una prima volta, ma il ghiaccio era già stato rotto dopo un concerto quando fraternizzammo subito con lui e tutto il gruppo.

Da allora li abbiamo seguiti durante il tour di “Rosemary Plexiglas” per mezza Italia, facilmente riconoscibili ai loro occhi e alle loro orecchie, e in pratica, come si dice ora, venimmo accolti nella crew, è capitato più volte anche di cenare assieme a loro dopo i concerti, di condividere emozioni e pezzi delle nostre vite.
Se ci penso oggi non era scontato, anzi, è proprio che Paolo Benvegnù era già una sorta di mito, una persona di una gentilezza, di una umanità e profondità rare, tra i più autentici artisti incrociati in quegli anni.

Ricorderò sempre l’emozione nel trovare i nostri nomi nel libretto dell’atteso album Armstrong”: in mezzo a praticamente tutti gli esponenti della scena musicale italiana anni 90 e a fior di giornalisti, figuravano anche i nostri nomi, con un semplice “Richi e Gianni di Verona” come fossimo dei veri amici. Di fatto ci sentivamo trattati così ogni volta che lo vedevamo.

Dico cose quasi scontate, forse stucchevoli, lo so, ma tutti coloro che hanno conosciuto poi Benvegnù nella sua carriera di cantautore hanno potuto constatare quanto ho appena scritto.
La sua grandezza stava anche nell’umiltà, nel sapersi prendere poco sul serio, nello schernirsi davanti ai tanti giusti complimenti raccolti negli anni all’uscita di ogni suo nuovo lavoro.
E anche se col tempo lo perdetti di vista, l’ho sempre ascoltato e sostenuto, ed è stato comunque bellissimo scambiarci due parole quest’estate al termine di un bellissimo momento musicale in quel di Verona.

Mancherà tantissimo Paolo alla musica italiana, se ne va davvero un gigante.
Riposa in pace
La tua musica brillerà in eterno.