credit: Antonio Viscido

Il tempo, purtroppo, è giunto, un tempo che non avremmo mai voluto assaporare, ma che – come ci ha amorevolmente narrato Paolo Benvegnù – ci insegnerà, di nuovo, a respirare e, dunque, a vivere, liberandoci da quegli ingannevoli codici numerici e da quelle spirali di competizione e di apparenza, dalle quali siamo stati risucchiati.

Imprigionati in una società che ammette e celebra solamente i suoi schemi, che non accetta alcun pensiero trasversale e che è convinta che, per qualsiasi cosa, basti fare una ricerca in rete, riducendo qualsiasi emozione e qualsiasi sentimento ad uno slogan temporaneo, riacquisteremo, finalmente, l’indecifrabilità delle nostre percezioni e delle nostre idee, dei nostri stati d’animo e di tutte le nostre salvifiche e preziose fragilità umane. E la musica di Paolo Benvegnù, il suo lascito umano ed artistico, è, senza alcun dubbio, una chiave per riaprire le porte dell’imprevedibilità, del sogno e della passione, che abbiamo, erroneamente, sbarrato.

In un mondo che, sovente, crede di essere invincibile ed immortale, questa mancanza si trasforma in un dolore travolgente, ma ci restituisce la consapevolezza di uno spazio profondo, di un fuoco inestinguibile, di una musica che continuerà ad essere scoperta e vissuta, generazione dopo generazione, facendo sì che nessuna epoca resti senza i suoi splendidi e necessari drogati d’amore. Tante volte il nostro percorso di ricerca e di bellezza ha intrecciato il suo accattivante lirismo, ed ogni volta è bastato che allungassimo la mano, affinché lui la afferrasse, rendendoci più incoscienti e, allo stesso tempo, più saggi riguardo a tutti i luoghi nei quali siamo già stati e tutti quelli che, presto, visiteremo. Quando muore un poeta, scriveva Alda Merini, riguardo alla perdita di Pier Paolo Pasolini, nel mondo c’è meno luce, ed è assolutamente vero, perché tutti noi avevamo bisogno della sua luce, del suo talento e della sua intelligenza. Ed ora che la ruota dell’esistenza ci ha privato della sua compagnia fisica, ora che vorremmo riportare il nastro al punto iniziale e riascoltare, per la prima volta, la sua musica, non possiamo fare altro che abbracciare la speranza di recuperare, in noi stessi, la traiettoria poetica perduta, utilizzando i suoi dischi e le sue canzoni come bussola umana in un mondo che si fa sempre più fosco, più cattivo e più ostile.

Ti ricorderemo sempre così, tu sul palco e noi davanti, cullati dalle tue parole.

Ciao Paolo, perché questo non è un addio, e noi ti salutiamo così, con il tuo ultimo album “E’ inutile parlare d’amore”: un anno che siamo stati solamente noi, con le nostre piccole e grandi scelte, a consegnare, ancora una volta, alla guerra e che si chiude con la tua rumorosa assenza.