Un giorno all’improvviso. Il primo disco dell’anno. Giunto come un ospite inatteso, ma graditissimo, in una delle notti più festose del belpaese. Sì, insomma, Liberato è ritornato alla sua maniera: pubblicando il suo terzo album alla mezzanotte del 31 dicembre 2024. Del resto, il cantautore mascherato non è certo nuovo a sortite d’effetto e a sorprese di sorta. Piaccia o meno, si tratta del suo modus operandi.

E allora tanto vale concentrarsi unicamente sulla proposta musicale di un artista che, nel corso del tempo, si è dimostrato decisamente abile nel far coincidere l’inevitabile hype legato alla propria identità (forse) ignota con l’alta, altissima qualità del prodotto da lui realizzato. “Liberato III”, per esempio, rappresenta una vera e propria boccata d’ossigeno per il panorama alternativo italiano, non foss’altro che per l’ampiezza delle sonorità che ne delineano la vision dal chiaro respiro internazionale.

Già, perché ascoltando con attenzione l’opera nuova del musicista partenopeo, non si può fare a meno di sottolineare i richiami evidenti all’epica (e all’epoca) d’oro del cosiddetto french touch e a tutto quell’immaginario che parte dai Daft Punk e arriva fino ai Justice e a quel geniaccio di Breakbot. Va da sé, naturalmente, che la magia di Liberato sia tutta lì, nella sua capacità atavica di mescolare l’alto e il basso, la Napoli di Maria Nazionale e quella di Teresa De Sio, la dance transalpina e il mainstream a stelle e strisce. E proprio col campionamento di un pezzo(ne) della sunnominata cantautrice campana (“Voglia ‘e turnà” del 1982), si aprono le danze del terzo album in studio del Nostro. “Turnà”, infatti, è un brano in cui il Banksy napoletano prova a mettere subito le cose in chiaro, trasportando l’ascoltatore sulle rive del proprio inconfondibile sound.

“Novembre”, invece, rappresenta uno degli highlights più evocativi dell’album, in cui poesia e modernità si fondono quasi alla perfezione. E lo stesso discorso, se vogliamo, potremmo estenderlo pure al già edito “Lucia (“Stay With Me”). In “Sì Tu (“It’s You”) Liberato riesce a destreggiarsi tra le acque limpide del french touch di cui sopra e i lavori più centrati di “un certo” Skrillex. Pane per l’animo (e per le orecchie, soprattutto) di chi ama spingersi sempre un po’ più in là rispetto agli orizzonti opachi del proscenio musicale italico (per intenderci, quello più popettaro e scialbo).

Per chi scrive, però, le vette più elevate del disco vengono raggiunte con quel capolavoro finale che risponde al nome di “’O Diario”, una sorta di cavalcata electro-pop in cui l’artista napoletano si lascia andare ad un resoconto accorato di quello che è stato il suo percorso (umano) nell’ultimo triennio. Provando a tirare un po’ le somme, dunque, potremmo definire questo “Liberato III” come la conferma definitiva di un musicista con i controfiocchi – che non ha certo paura di osare – e che è riuscito nell’ardua impresa di perfezionare il proprio sound senza scadere nel grigiore ancestrale della banalità.

Tradotto in soldoni, Liberato è uno degli artisti più originali del Vecchio Stivale. Mergellina, Los Angeles e Parigi non sono mai state così vicine. Potenza della (buona) musica.