Avete presente quei film in cui esci dalla sala e pensi “bellissimo, ma non lo rivedrei nell’immediato“? Ecco, “Conclave” – invece – è uno di quegli spettacoli che riguarderesti subito, nonostante sia un thriller e per questo alla seconda visione nessun segreto è sconosciuto.
A me questo film ha ricordato un po’ “Il Gladiatore” di Ridley Scott (2000), il primo, non la fetecchia di sequel che gira nelle sale in questi giorni. Tanti si sono affannati a disquisire sull’attinenza alla realtà delle dinamiche relative all’elezione del Papa, così come venticinque anni fa si criticava il peplum movie di Scott per la scarsa aderenza storica: ma in entrambi i casi a rapire lo spettatore sono la potenza della trama e la bravura degli interpreti. Tre su tutti per l’opera di Edward Berger: Ralph Fiennes, Stanley Tucci ed Isabella Rossellini, autori di una prova maiuscola, superba. E’ inutile: una sceneggiatura fatta bene (quella di “Conclave” ha appena vinto il Golden Globe), recitata da attori di livello porta quasi sempre a risultati ottimi.
Ralph Fiennes è il decano Thomas Lawrence, capo del conclave, incaricato di far rispettare le procedure, ma che si troverà a gestire diversi colpi di scena, cercando di mediare tra la propria coscienza e la ragion di stato. Stanley Tucci è il cardinale progressista Aldo Bellini, amico di Lawrence, antagonista del porporato ultraconservatore Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto).
Oltre ad un outsider a sorpresa, un misterioso cardinale nominato in pectore dal Papa defunto, altri due papabili sono Trembley (John Lithgow) e Adeneya (Lucian Msamati). Mentre le ultime tre figure citate sono abbastanza lineari, è meraviglioso osservare come Fiennes e Tucci riescano a rappresentare con estrema credibilità le sfaccettature caratteriali, le debolezze e le ambizioni di
cardinali in corsa per il papato. A completare la loro prova sontuosa, si aggiunge una immensa Isabella Rosellini, che interpreta Suor Agnes, una madre superiora che conosce molti segreti e che non sopporta più i soprusi dei maschi verso le sue consorelle.
Non serve dire di più sulla storia. Oltre al finale, gustatevi la citazione della scultura “La nona opera” di Maurizio Cattelan e la fotografia assolutamente meravigliosa di Stéphane Fontain, che – però – devo dire, a me ha ricordato molto le opere di Paolo Sorrentino; su tutte ovviamente quelle ambientate a Roma: “La Grande Bellezza” e la serie “The Young Pope”.
Nel ricordare che il film si basa sul romanzo omonimo di Robert Harris e che ne rispetta fedelmente trama e finale, penso che in questo caso forse si sarebbe dovuto optare per una chiusura meno politicamente corretta, in pieno stile hollywoodiano. D’altronde, anche “Il Gladiatore” finiva con la vittoria della giustizia, ma in tal senso il nostro mondo – ahimé – va spesso in direzione ostinata e contraria. Comunque sia, grandissimo film. Senza dubbio, da vedere.
Speriamo sia premiato adeguatamente agli Oscar.