E’ una piccola storia (vera) di lotta che ti riconcilia un po’ con questo mondo che sembra sempre più impossibile da cambiare, da sovvertire, quella raccontata da “El 47”.
Siamo nella Barcellona di fine anni ’70 e gli abitanti delle sue periferie che si svilupparono mediante l’insediamento di immigrati andalusi e estremegni durante gli anni ’50 del franchismo sono scollegate dal centro. Gli immigrati e i loro figli sono ormai parte integrante della città. Alcuni lavorano nelle scuole, i loro figli le frequentano, altri puliscono le strade, altri ancora guidano gli autobus, come il protagonista del film Manolo Vital. Però, come a rimarcare la loro atavica estraneità dal tessuto cittadino, ogni giorno sono costretti a farsi chilometri e chilometri per raggiungere le loro occupazioni. O a prendere l’auto, che però non tutti possono permettersi.

“El 47” del titolo è la linea di autobus condotta da Manolo, che con caparbietà e insistenza lotterà contro politici e burocrazia affinchè suddetta tratta si allunghi fino al suo quartiere. Lo stesso quartiere che aveva erto trent’anni prima con i suoi compagni immigrati, notte dopo notte, ad ogni costo, in barba alle leggi e alle violenze fasciste.
Ci si commuove, si ride un po’, si impara tanto su un genere di lotte meno note, ma fondamentali per il conseguimento di tante cose che oggi ci sembrano scontate.
La sceneggiatura presenta qualche ruffianeria, come il giochetto che fa per introdurre la figura di un futuro sindaco di Barcellona. Così come la fotografia è un po’ troppo processata e gli inserti d’epoca del traffico cittadino forse non sono incorporati benissimo nel filmato. Ma è cercare il pelo nell’uovo a un gran bel film, molto classico, dolce e potente.
Piacerebbe tanto a Loach, ma anche a Kaurismaki. E’ candidato a una fracca di Goya e ne vincerà un bel po’.