Fu un periodo a dir poco turbolento quello che i Beatles trascorsero ad Amburgo, grande città portuale della Germania Ovest, tra l’estate del 1960 e la primavera del 1962, al fine di mettere da parte un po’ di soldi e farsi le ossa sui palcoscenici dei locali del quartiere di St. Pauli. Giovanissimi e malpagati, i cinque ragazzi di Liverpool (all’epoca erano ancora della partita il bassista Stuart Sutcliffe, morto ad appena 21 anni per un’emorragia cerebrale,e il batterista Pete Best, sostituito poi da Ringo Starr) suonarono per centinaia e centinaia di ore davanti a spettatori di ogni tipo: non solo ragazze e ragazzi che semplicemente volevano scatenarsi al ritmo del rock ‘n’ roll e del rhythm and blues, ma anche marinai ubriachi, fuorilegge, prostitute e tipi pericolosi sempre pronti a scatenare risse.

Anni difficili ma ricchissimi di eventi e, soprattutto, incredibilmente formativi per il gruppo. Sotto molti punti di vista, i ventinove mesi trascorsi all’estero in cinque distinte tranche furono fondamentali per la nascita del mito dei Beatles che, proprio in quel di Amburgo, lavorarono alle loro prime registrazioni come gruppo spalla del chitarrista britannico Tony Sheridan. Fu un suo album, “My Bonnie” del 1962, a farli conoscere all’uomo che li avrebbe poi tirati fuori dall’anonimato e catapultati verso il successo: il manager Brian Epstein.

L’incontro con lo sfortunato impresario, scomparso prematuramente a soli 32 anni nel 1967, fu determinante per le fortune dei Beatles, la cui crescita artistica e umana tuttavia partì con un percorso autonomo proprio nel corso di quelle lunghe, estenuanti nottate amburghesi. Le capacità tecniche e lo stile della band si affinarono nell’arco di 273 concerti che, in alcuni casi, arrivarono a sfiorare le sette ore di durata.

Dovendo trascorrere così tanto tempo su un palco, i Beatles furono costretti a lavorare a un vastissimo repertorio di brani da proporre all’eterogeneo pubblico tedesco. Un unico obiettivo: mantenere sempre alti i livelli di attenzione e coinvolgimento degli spettatori. Ad Amburgo la band suonò perlopiù cover di brani americani assai amati dai giovani dei primissimi anni ’60, smaniosi di scatenarsi in pista e divertirsi al ritmo forsennato delle canzoni di artisti come Little Richard, Ray Charles, Eddie Cochran, Buddy Holly e Chuck Berry.

Tutti questi nomi e tanti altri li ritroviamo oggi in “The Hamburg Repertoire”, un doppio album che raccoglie le versioni originali di ben 67 tracce regolarmente interpretate dai Beatles nei loro spettacoli in Germania. Una compilation, quella della Cherry Red Records, che ha un grandissimo valore storico; i brani inclusi, infatti, rappresentano in tutto e per tutto il brodo primordiale nel quale ha preso forma il rivoluzionario genio compositivo della coppia John Lennon – Paul McCartney (senza dimenticarsi dell’ugualmente valido George Harrison, naturalmente), prima che la band si emancipasse totalmente dalle sue influenze per imporsi come modello musicale originale e inimitabile.

La scaletta include brani iconici, alcuni dei quali registrati in seguito dai Beatles per uscite ufficiali, come “Besame Mucho” dei Coasters, “Whole Lot Of Shakin’ Goin’ On” di Jerry Lee Lewis, “Dizzy Miss Lizzy” di Larry Williams e “A Taste Of Honey” di Lenny Welch. Tutte canzoni, quindi, che spaziano tra rock ‘n’ roll, blues e R&B, a esclusione di non pochi “lentoni” (raffinati e dal gusto pop, come “Till There Was You” di Peggy Lee e “Will You Love Me Tomorrow” delle Shirelles) e di una vera e propria stranezza per il canone beatlesiano, ovvero “Falling In Love Again” di Marlene Dietrich (un pezzo del 1930, quindi già vetusto a inizio anni ’60).

I ritmi incalzanti e le melodie accattivanti del rock degli albori diedero ai Beatles le basi per dar vita a musiche dinamiche e coinvolgenti. Il blues e lo skiffle contribuirono a svilupparne la sensibilità musicale, introducendo McCartney e soci a strutture armoniche più complesse e articolate. L’R&B, con le sue radici nel gospel, li portò a capire quanta importanza potessero avere le emozioni nel far spiccare il volo anche alle composizioni più essenziali.

Per concludere, mi limiterò a recuperare tre citazioni per farvi comprendere appieno l’importanza del periodo amburghese così ben “condensato” in questo bel doppio album. La prima è tratta proprio dal comunicato stampa della Cherry Red che ne accompagna l’uscita:

Il repertorio di Amburgo, per forza di cose vasto e variegato, finì per trovare uno sbocco nel suono dei Beatles. Le esigenze imposte al gruppo dai gestori dei locali stimolarono lo sviluppo di un eclettismo che avrebbe poi raggiunto la sua piena espressione con “Rubber Soul” e “Revolver”.

Le ultime due, brevi ma estremamente significative, sono di John Lennon:

Mick Jagger ha detto che non eravamo una buona band dal vivo. Ma non ci ha mai visto al nostro meglio, ai tempi di Liverpool e Amburgo. Eravamo la migliore band che ci fosse. Conosco tutte le canzoni del rock delle origini molto meglio di buona parte di quelle che ho scritto io stesso.

Siamo nati a Liverpool ma siamo cresciuti ad Amburgo.