Inizio in sordina, ribadendo, per quanto conti, che l’idea alla base di “Los anos nuevos” non è per nulla originale. La messa in scena dello scorrere del tempo di una coppia mediante frammenti separati della sua vita è alla base dell’indimenticabile “Trilogia Before” di Linklater, nonché del romanzo di David Nicholls “One Day” e dei derivati film e serie – carino il primo ottima la seconda.
Però, e qui accelero e derapo, il buon Sorogoyen (tra i migliori, se non il migliore regista europeo delle ultime generazioni) su questa idea ci ha costruito la migliore serie autoconclusiva (credo e spero) degli ultimi anni. Un capolavoro generazionale e totale.
Seguiamo Oscar e Ana per ben dieci anni, a capodanno, uno per puntata. Che poi è anche il loro compleanno, lui è l’ultimo nato spagnolo del 1985 e lei la prima del 1986.

Come da tradizione di questo tipo di diegesi, siamo noi a dover ricostruire cosa è successo nel frattempo. Se stanno insieme o no, perché stanno insieme, perché non ci stanno, che gli sta succedendo, che c’hanno per la testa. Dal 2014 al 2024.

Dicevo capolavoro generazionale, perché se avete fatto la traversata degli ultimi dieci anni di rotta verso i 40 “Los anos nuevos” vi sventra. C’è Madrid, c’è Berlino, insomma l’Europa senza confini, ci sono le droghe, c’è il cazzo di Covid, ci sono le responsabilità che via via prendono il sopravvento, le indecisioni, le paure. Insieme a tante altre citazioni, c’è persino “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana e tanta della migliore musica indipendente spagnola degli ultimi anni – Nacho Vegas, Vetusta Morla, La mal querida, McEnroe, Rodrigo Cuevas e tantissimi altri. Ci sono gli amici che vanno e vengono. C’è il sesso, umido e selvaggio (in alcune scene dei primi episodi si potrebbe quasi parlare di soft porn), che però via via si stempera fino a diventare una comparsa, se non un assente.

Si potrebbe parlare, a causa delle riprese molto naturali e della scelta delle situazioni, di cinema (o serialità) realista. In realtà però, la messinscena di Sorogoyen e il resto della ciurma trascende questo concetto. A lunghi tratti sembra di spiare dal buco della serratura. Ana e Oscar sono reali. Così come sono reali le chiacchiere a tavola coi genitori, il loro andamento ondivago, le loro pause. Sono reali gli scazzi e le conversazioni tra i due, che vanno un po’ dove vogliono, meravigliosamente a caso.

Il lavoro fatto poi sulle circostanze, che affiorano come lampi e folgorano, è incredibile. L’episodio del maledetto 2021, quello del Covid, riesce attraverso un incontro fortuito a spiegare il disastro che vivemmo meglio di mille documentari.

Irina Del Rio e Francesco Carril sono mostruosi, i loro Ana e Oscar, ripeto, sono veri. Ma qualunque attore che in questi dieci episodi passi sotto la regia di Sorogoyen è vero come la carne, stia dirigendo questi una discesa dalle scale, il clubbing berlinese, una corsa in bici per Lione, una sigaretta sul balcone o lo spagnolissimo rito dell’uva.

Il 31 gennaio esce su Raiplay, sapete cosa fare.