Il sottotitolo di quest’album potrebbe essere:” Mille e uno modi per sfuggire al dolore. “
Nonostante le gravi difficoltà personali affrontate durante la registrazione, i Mogwai non hanno attinto né dai loro arpeggi torcibudella né dalle loro deflagrazioni proverbiali. Avremmo potuto aspettarci un viaggio senza ritorno nel magma del loro sound e invece ascoltiamo una delicatezza sonora che permea l’intero lavoro.

Quando parte il primo pezzo è lecito pensare i aver messo su un disco di Philip Glass. Quando è la volta di “Fanzine Made of Flesh” fa capolino addirittura un french touch. “Pale Vegan Hip Pain” si apre invece in maniera inconfondibile e questo sì è un brano che dà continuità al Mogwai Sound, evolvendolo. Possiamo apprezzare il alto più meditativo, la quiete prima della tempesta della band scozzese che poi però non ci riserva né graffi né strappi ma qualcosa di sognante, un David Gilmour affacciato alla finestra, in una giornata di primavera, che suona la sua chitarra al vento tiepido e gentile. “If You Find This World Bad” è forse l’unico pezzo mostra i vecchi Mogwai per intero. “18 Volcanoes” è un’idea di shoegaze e dream pop. “Lion Rumpus” è difficilmente catalogabile e il pezzo da me preferito. Base ritmica sconvolgente sorvolata da svolazzi sintetici, arpeggi di synth con linee vocali eteree. Molto interessante.
In generale, un lavoro non sempre a fuoco ma molto coraggioso. Uscire dalla comfort zone non è mai facile, specialmente in un momento simile. Risuona il trentennale della band, la creazione del disco è certamente travagliata. Invece di aggrapparsi alle certezze, i Mogwai hanno deciso di percorrere strade nuove e lontane.