Un progetto che, pur attingendo da fonti diverse, ricorda il grandioso lavoro fatto dai Beak nell’anno appena trascorso.

In realtà gli Young Knives vanno oltre. Trovano un’ispirazione che faccio molta fatica a ricordare. Si cimentano con i pesi massimi di vari generi e ne escono vincitori. È così raro unire tanta qualità alla varietà. Creare melodie e linee così immediate e ben fatte andando a fondo nella sperimentazione e toccando così tante correnti. Non solo l’album in sé ma ogni pezzo contiene al suo interno cambi e suggestioni a profusione. L’ulteriore pregio è che pur essendo un disco dalle mille sfaccettature è stato costruito con una produzione che lo rende organico e ogni pezzo si rende necessario rispetto a quello appena ascoltato e prepara a quello successivo. In questa recensione sto per usare tanti nomi illustri per rendere l’idea di ciò che si ascolta ma il bello è che se dovessi citare un album con cui paragonare “Landfill” degli Young Knives non saprei trovarlo. E questo credo sia il miglior complimento per un artista. Ricordare la grandezza di tanti ma non essere paragonabile a nessuno.
Questo disco mi ha colpito davvero tanto. Ogni canzone. Forse sto invecchiando e sicuramente non attraverso un grande momento, fatto sta che “Landfill” mi ha fatto sentire come non mi capitava da tempo con un tempo. Mi capita magari con una singola canzone di un disco ma difficilmente con l’intera opera. Ognuno di noi ha i propri gusti, i propri santini. Io cerco nella musica qualcosa che possa farmi piangere di malinconia, bruciare come Lucifero e shakerare come un adolescente a un rave. Con questo disco l’ho trovato.
La partenza è amore al primo ascolto. “A Memory of Venom”. Robert Wyatt al funerale dei Beach Boys. O viceversa. “Ugly House” è un’orgia Talking Heads, no wave, con meravigliosi inserti Canterbury e una lunga (ma non troppo) coda interstellare. “Cause & Effect” è un iper-sofisticato hip hop a livelli dei momenti d’oro dei Clouddead o Cannibal Ox ma con un pizzico di leggerezza e melodia in più. “The People from the second way” si muove tra le coordinate di quel capolavoro che fu dei Nearly God ma poi va oltre, dove non si sa. “Dissolution” parte con un pianoforte che ti fa subito venire in mente “Blasé” e poi ti fa (s)ballare come new wave o post-punk anche se non so cosa sia dei due. A proposito di ballare, provate a stare fermi ascoltando “No Sound”. Suicide travestiti da Pet Shop Boys. “You Car Has Arrived” è semplicemente stupenda. Scrittura di una bellezza rara. Interpretazione da pelle d’oca. Un distillato di Cake purificati e filtrati fino a togliere fino all’ultima scoria d’imperfezione. Un pezzo senza tempo. “California Dreaming” di periferia. È la volta di “Gone, Gone, Completely Gone”. Un brano contorto, un vortice, una piccola ossessione. Cori marziali, linee vocali alla Pavement e rasoiate impietose. La lunga intro di “Love The Knives” ci prepara al gran finale. Se da lassù David Bowie e John Lennon ascolteranno “Love The Knives” sono sicuro che si daranno di gomito e diranno sorridendo:” Mica male questi ragazzi! “. “Fresh Meat” mi ricorda i migliori Blur. E non è certo da tutti riuscirci.
Quando un disco è così ispirato, sincero, geniale mi sento grato semplicemente di avere un paio di orecchie che funzionano e un paio di cuffie che fanno il loro dovere. Siamo a gennaio e abbiamo già un potenziale disco da podio 2025? Non so se resteranno in sella ma di sicuro hanno alzato l’asticella.