Ci sono voluti più di sette anni a Benjamin Booker per dare un successore a “Witness” del 2017 e ne sono passati ben undici dall’esordio omonimo. Molti per l’odierna sfrenata discografia, il giusto tempo per un artista che non ha mai ragionato in termini di vendite o classifiche.

Anni di ricerca per trovare il suono che voleva, quel mix di blues, soul, rock, hip – hop con influenze più sfumate di elettronica finalmente raggiunto dopo l’incontro col produttore Kenny Segal uno dei più quotati a Los Angeles già membro di Backwoodz, Team Supreme, The Kleenrz, The Jefferson Park Boys.
Un sound ritmato e rovente dove melodie, voce e strumenti si fondono in passaggi sonori che raccontano storie spesso ai margini. Le chitarre di “Black Opps” che lasciano spazio a boom box e drum machine, brani come la sperimentale “LWA In The Trailer Park”, il blues che incontra l’hip – hop in “Pompeii Statues” e l’R&B moderno e contaminato di “Slow Dance In A Gay Bar” dimostrano quanto lontano si sia voluto spingere Booker.
Suono che a volte sfiora il puro minimalismo in “Speaking With The Dead” (ispirata dall’attore Haley Joel Osment come Booker a rivelato a FLOOD Magazine). Niente è mai scontato in questi quarantuno minuti neppure le chitarre acustiche e le melodie sussurrate di “Rebecca Felton Takes A BBC” tra sesso e politica.
“New World” segna una piccola svolta, da questo momento in poi le canzoni diventano più dirette come “Same Kind Of Lonely”, persino dinamicamente pop sulla scia di “Show And Tell” o “Heavy On My Mind” sui toni del blues rock e l’intensa “Hope For The Night”. Arrangiamenti laboriosi per brani indubbiamente eclettici che vanno a comporre un disco non immediato che rivela le sue qualità dopo diversi ascolti e conferma il talento di Booker.