Il tempo passa e i simpatici Taffy (che ricordo di aver visto anche qui in Italia a Cremona un sacco di tempo fà) sono già arrivati al loro sesto album, sempre sotto la prestigiosa bandiera a nome Club AC30.

Spesso in passato la band si era distinta per il suo power-pop che si sporcava volentieri di shoegaze, poi con il passare degli album i ragazzi di Tokyo, guidati dalla voce inconfondibile di Iris, hanno sempre mantenuto alto il livello dei riverberi e del rumore, rallentando anche il ritmo e rendendo il suono anche più oscuro e meno solare.

Questo disco, in cui compare il nuovo chitarrista Rio Kato, risente tanto del periodo della pandemia, in cui la stessa Iris ha perso persone importanti e si è soffermata a pensare a cosa e chi fosse per lei importante, chi meritasse davvero attenzione e cura. La quotidianità classica è inevitabilmente venuta a mancare e questo aspetto ha pesato nella composizione delle canzoni e nella scrittura. Così dice Iris e, forse anche condizionato da queste parole, mi sembra proprio di cogliere nel suono della band una volontà di ricreare, nei nuovi brani, quei giorni che sembravano uguali uno all’altro.

Le canzoni hanno spesso una melodia o un giro di chitarra circolare, che ritorna e si ripropone in tutto il brano, con alcune variazioni sul tema, ma sostanzialmente i brani tendono a muoversi in modo che il suono scorra come in una ruota e il tutto entri in circolo in modo costante (“Ifonly” è perfetta da questo punto di vista). I Taffy non perdono in potenza, quando vogliono sanno ancora fare il loro sano rumore, ma sembra che il taglio preferito sia quello più malinconico e agrodolce (“lull”), senza melodie arrembanti, ma con una gestione melodica anche qui ponderata e sinuosa.

Merita la segnalazione la lunga “Prism 45” che, chissà perchè, mi ricorda un po’ la dolcezza dei Sixpence None the Richer ma in una versione più onirica e avvolgente. Il batterista Ken si dimostra sempre sul pezzo, negli stacchi di “shhhhh” (la mia canzone preferita del disco) e sopratutto nelle rullate di “Honey Milky Way”, che conferiscono al brano un piacevole tiro più brioso, senza comunque distaccarsi dalla modalità di scrittura segnalata prima.

Un piacevole ritorno che va assaporato ascolto dopo ascolto.