Credit: Sandra Ebert

Il prossimo 25 aprile, via Rock Action Records, i Cloth pubblicheranno il loro terzo LP, “Pink Silence“, che arriva a distanza di due anni esatti dal precedente, “Secret Measure”.

L’approccio leggero come una piuma e l’intrinseca drammaticità silenziosa della coppia rimangono i fondamenti del suono dei Cloth in “Pink Silence”. Una vena ritmica audace combinata con la pazienza e la moderazione di lasciare che sia lo spazio della loro musica a parlare, tuttavia con il produttore Ali Chant (Perfume Genius, PJ Harvey, Yard Act) al timone – e con un cast di collaboratori che include Adrian Utley dei Portishead, Owen Pallett e Stuart Braithwaite dei Mogwai – il loro esemplare interplay chitarristico è impreziosito da fiotti di synth, tessiture drone ondulate e archi. Insieme, la sottigliezza intenzionale del gruppo viene elevata a nuove altezze, mentre le canzoni si sviluppano e fioriscono, diventando ricche, complesse ed emotive. “Pink Silence” è il suono dei Cloth che realizzano la crescente vena pop che hanno a lungo minacciato di portare alla ribalta, pieno di quel tipo di ruminazioni gratificanti che continuano a renderli una prospettiva così coinvolgente.

Su “Pink Silence” è stato adottato un approccio più istintivo alla scrittura. Hanno voluto lasciare che le canzoni fossero ciò che dovevano essere, piuttosto che essere trascinate in una certa forma. Il risultato è coinvolgente e naturale, e si adatta piuttosto bene a ciò che la band voleva trarre dal titolo “Pink Silence”.

I fratelli Rachel e Paul Swinton, titolari del progetto, dicono dell’album:

L’idea del silenzio rosa descrive la mattina presto o la sera tardi, quando nel cielo c’è questa specie di strana luce eterea. Può significare due cose: qualcosa di beatamente sereno o qualcosa di carico di un reale senso di presagio. Ci piaceva l’idea che qualcosa di così naturale, bello e onnipresente potesse avere una dualità così intensa.

Dopo “Polaroid”, condiviso lo scorso novembre, ecco un nuovo estratto, “Golden”, accompagnato da un video diretto da Luke Bovill.

Paul dice del pezzo:

Ricordo che scrissi il gancio di chitarra del ritornello principale di questa canzone, Rachael aggiunse un accompagnamento di accordi e io le dissi: “Questa canzone deve suonare come i Talking Heads!”. Credo che questo piano d’azione si sia un po’ perso lungo la strada, ma è comunque uno dei momenti musicalmente più vivaci dell’album, con un grande ritmo di hi-hat nel ritornello e un bridge che potrebbe essere il mio preferito tra le canzoni dei Cloth. La canzone tratta della dura rottura di una relazione e della sensazione che la perdita sia così difficile da riconciliare che si preferisce non essersi mai innamorati. C’è un verso nella canzone, “quella cicatrice sul mio muro, dove tutte quelle fotografie ricordavano la nostra caduta”, che mi è venuto in mente guardando il muro della mia camera da letto e vedendo i deboli contorni – le “cicatrici” – di dove erano attaccate le foto di ricordi davvero significativi. Mi è sembrata un’immagine molto potente, anche se, in un certo senso, non c’è più nulla da guardare.

Il brano, nonostante tratti di temi difficili, comunque non perde mai la speranza come dimostra la calda e rassicurante voce di Rachel e lascia spazio a gentili melodia, facendoci fare un nostalgico tuffo verso gli anni ’80 attraverso un tono vibrante e delicato.

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