Sharon Van Etten e la sua jam-session lunga un disco. Volendo, potremmo descrivere così il nuovo album dell’artista americana. Già, perché “Sharon Van Etten & The Attachment Theory”, altro non è che l’ennesimo frutto partorito dall’instintività atavica di una musicista decisamente scafata che, nel corso del tempo, ha dimostrato di saper padroneggiare – con estrema autorevolezza – tutto ciò che abbia a che fare con il Regno Delle Sette Note. E allora, il suddetto disco, che prende il nome dalla band con cui la Nostra si accompagna durante i live (e che a sua volta richiama la teoria psicologica dell’attaccamento di John Bowlby), rappresenta una delle opere più centrate della cantante originaria del New Jersey.

Credit: Devin Oktar Yalkin

Sarà per il tocco inconfondibile di Marta Salogni (Animal CollectiveDepeche Mode, tra gli altri), – vera deus ex machina del lavoro in questione -, sarà per l’immediatezza di alcuni brani presenti nella tracklist, ma l’album numero sette della cantautrice americana scorre via con grande piacevolezza. “Idiot Box”, per esempio, gira intorno a delle linee di basso davvero notevoli, mentre la splendida “Trouble”, ha un andamento quasi cinematografico. E poi i synth, marchio di fabbrica della sunnominata Sologni, che condiscono di effetti speciali alcune tra le migliori tracce del lotto (“Afterlife”). Jam-session lunga un disco, dicevamo.

Sì, perché la cara e geniale Sharon, coadiuvata dai fidi Jorge Balbi (batteria), Teeny Lieberson (synth, piano, chitarra) e Devra Hoff (basso), ha realizzato i dieci pezzi che vanno a comporre questo “Sharon Van Etten & The Attachment Theory” durante i preparativi del tour. Si è trattato, in pratica, di un modus operandi dannatamente old-school. Songwriting, elettronica, atmosfere cupe, c’è tutto il campionario eclettico dell’artista statunitense all’interno dell’album. Così come testimoniato, del resto, da tracce quali “Somethin’ Ain’t Right” e la barocca “Fading Beauty”. Il post-punk di “Indio”, invece, sta lì a sottolineare tutta la versatilità di Sharon

Quello intrapreso con il suo settimo lavoro in studio, è un viaggio all’interno dei propri meandri autorali. Un’immersione tout-court all’interno di un immaginario gotico ma con più di un richiamo a certe atmosfere Eighties che da sempre contraddistinguono l’arte (e la vision) della cantante a stelle e strisce. Un indie-rock armonico e pensante, in cui riescono a convivere tutte quelle sfumature che hanno reso la Van Etten uno dei numi tutelari della scena alternativa internazionale. Va da sé, banalmente, che se ci si aspetta di trovarsi al cospetto di un capolavoro, l’ascolto di “Sharon Van Etten & The Attachment Theory” non andrebbe neanche ipotizzato. Si farebbe un torto, però, al comunque ottimo lavoro svolto dall’artista, dalla sua band, dalla Salogni. A volte, la musica va presa per quello che è: ovvero, un piccolo strappo alla realtà. Una virgola necessaria tra le frasi sconnesse della vita.