Acclamatissimo in Spagna, al punto da dividersi il Goya per il miglior film con il ben più riuscito “El 47”, “La infiltrada” è una buona pellicola, ma nulla più. Se da una parte alcune scene, come quella dell’apparizione del famigerato Txapote, ben costruiscono il clima di terrore in cui versavano i Paesi Baschi negli anni ’90 e lasciano il segno, non si può dire lo stesso della vicenda al centro del film, quella della vera infiltrata nell’ETA Aranzazu Berradre Marín (Carolina Yuste).


La sceneggiatura lancia numerosi spunti, l’abbandono della famiglia per più di un lustro, l’impossibilità di vivere una relazione sentimentale, la tensione sessuale verso un terrorista (un terrorista peraltro incapace di far davvero paura o schifo), ma non ne porta nessuno a completamento, finendo persino per non far mai temere allo spettatore per l’incolumità della protagonista. Ci sono poi alcuni riferimenti, specie nella relazione tra l’infiltrata e l’unico referente della polizia a conoscimento dell’operazione, a “The Departed”, ma il risultato è lontanissimo dai tormenti palpabili e lancinanti di Di Caprio.

Ed è un peccato, perché le ambientazioni e le interpretazioni sono buone quando non ottime. A partire da quella della Yuste, vincitrice peraltro del Goya per la migliore attrice, ma soprattutto quella di Tosar, al solito incredibile nei ruoli da duro, e quella di Diego Anido, ormai nuova faccia del male più animalesco del cinema spagnolo