
I Tears For Fears al loro meglio. E la metà degli anni Ottanta (Il 1985, per l’esattezza) a fare da immaginifico sfondo dorato. “Songs From The Big Chair”, secondo album in studio di Roland Orzabal e Ian Stanley, al suo interno non racchiude solamente otto tra i brani più rappresentativi di quel decennio, è esso stesso quel decennio. Sì, insomma, provateci voi a scrivere un grande romanzo musicale (e popolare) con pezzoni che nel corso del tempo sono diventati dei veri e propri instant classics. Da “Everybody Wants To Rule The World'” a “Shout”, passando per “Head Over Heels” e “Mothers Talk”, il secondo album in studio del tandem britannico è entrato nelle nostre vite musicali come un lampo eterno.
New-wave, gospel, progressive, synth-pop: coriandoli di note nel grande carnevale degli 80s, ma non c’è un genere preciso che possa descrivere l’opera in questione. Detto questo, “Everybody Wants To Rule the World” e “Shout” raggiunsero entrambe il primo posto nella classifica Billboard Hot 100 degli Stati Uniti e ricevettero una rotazione enorme nell’allora gloriosa MTV. In pratica, un’intera generazione era stata servita. Epperò, sarebbe un esercizio oltremodo banale, limitarci a racchiudere il successo del disco in questione solo ai suddetti brani. La verità è che “Songs From The Big Chair” ha catapultato – quasi inaspettatamente – i due outsider di “The Hurting” (album d’esordio dei Nostri, pubblicato nel 1983) sul proscenio mondiale.
La batteria di “Broken”, il jazz (e il sassofono scintillante) di “I Believe”, le linee meravigliose disegnate dai pad synth della traccia conclusiva “Listen”, la malinconia atavica del delizioso assolo di sax di “The Working Hour”, la produzione impeccabile di Chris Hughes (mai cognome fu più Ottantiano) sono lì a raccontarci – oggi, come quarant’anni or sono – di un duo capace di brillare di luce propria in un’epoca – quella del cosiddetto edonismo Reaganiano e degli effetti speciali a tutti i costi – non proprio generosa con chi amava gettare la propria creatività oltre l’ostacolo. E i lustrini. Per chi scrive, “Songs From The Big Chair” è pura lungimiranza-pop, avanguardia e sapienza sonora.
È questa sorta di bizzarra manipolazione che riesce a rendere il disco una tale esplosione di suoni ben confezionati. Oltre ai sintetizzatori, ai campionamenti e ai rintocchi “di mestiere”, infatti, gli orizzonti in cui si sono spinti i Tears For Fears hanno fatto sì che il gruppo inglese si elevasse ben al di là dei confini new romantic tracciati con il sunnominato “The Hurting”. La loro vision geniale, in soldoni, ha spinto le canzoni di “Songs From The Big Chair” ben oltre gli Eighties, facendole diventare, invece, degli inni essenziali per le generazioni a venire.
Piccola nota a margine. Per tutti. Ma, anche e soprattutto, per chi è stato un adolescente nei primi anni Duemila. Dio benedica l’MTV di allora e il suo spazio quotidiano dedicato ai video più iconici degli 80s. In quel periodo, infatti, oltre a pezzoni quali “Shout” ed “Everybody Wants To Rule The World” (per l’appunto), il network americano ha insegnato – a milioni di millennials italiani – cosa significasse aprirsi alla musica internazionale. Del presente e del passato. In un’epoca costellata da artisti discutibili e da classifiche che recitano – praticamente – solo nominativi italiani, è sempre bello rimarcarlo.
Pubblicazione: 25 Febbraio 1985
Durata: 41:52
Dischi: 1
Tracce: 8
Genere: new-wave, pop-rock, jazz, progressive-pop, synth-pop
Etichetta: Mercury, Phonogram
Produttore: Chris Hughes
Tracklist:
- Shout
- The Working Hour
- Everybody Wants To Rule The World
- Mothers Talk
- I Believe
- Broken
- Head Over Heels / Broken
- Listen