Il terzo disco dei God Of The Basement è intriso di spigolosa e cupa ruvidezza, spoken-word, crudo tribalismo e alternative-rock, nonché di una incalzante, viscerale e ossessiva necessità di verità; di quella verità che, sempre più spesso, viene intossicata e negata, innacquata e resa irraggiungibile, così da costringerci a vivere in un mondo artificiale e, soprattutto, in un presente desensibilizzato, nel quale siamo tutti perfetti, tutti belli, tutti buoni, tutti giovani, tutti sani, tutti liberi, tutti felici.

Credit: Rebecca Lena

Queste nove canzoni, invece, rompono le finte promesse della società dei consumi, scelgono la direzione coraggiosa del delirio e della notte; la direzione caustica, corrosiva, ustionante e punkeggiante dei loro profondi bassi, delle bolge periferiche e metropolitane nei quali veniamo marginalizzati ed estromessi, delle parole che si trasformano in lame taglienti, di tutti i difetti, le brutalità, le atrocità, le dannate miserie e le piccole e grandi violenze che fanno parte della nostra quotidianità tecnologica, mediatica, caotica e cloroformizzata.

Abbiamo dimenticato ogni storia, abbiamo cancellato l’umanità e le sue salvifiche imperfezioni, nascondendoci in uno statico e infinito purgatorio, in una sera del cazzo nella quale poter seppellire qualsiasi rimorso, qualsiasi imbarazzo, qualsiasi vergogna e qualsiasi emozione. Groove e vibrazioni che la band fiorentina riscopre, rielabora, rivitalizza e riporta in superficie, rendendoci certamente più nervosi, ma anche, finalmente, più lucidi e più consapevoli, mentre ritmiche di matrice dub ed hip-hop, che hanno il sapore innocente e romantico degli anni Novanta, ci restituiscono la voglia di scegliere e di fare diversamente, di abbracciare sonorità ed esistenze oblique, di lasciare che siano i nomi e le essenze originali delle cose, senza alcuna inutile sovrastruttura politica, a prendere il sopravvento, anche quando essi ci conducono ad “Agata Della Pietà”, a quella che è una cantilena finale, indocile, penetrante e crepuscolare, una cantilena che ci sprona a guardarci dentro, a chiederci in cosa crediamo veramente, ad indagare sul nostro rapporto con gli altri, con le forze spirituali, misteriose ed invisibili del Creato, nonché con le ingerenze elettroniche e digitali che infestano e invadono l’io visibile e quello invisibile. Siamo ancora noi stessi?