Tre dischi pieni zeppi di brani arcinoti e deep cuts per rituffarsi negli anni d’oro della Swinging London. Questa volta i tipi della Cherry Red Records hanno deciso di spalancare le porte della percezione e regalarci un bel trip con le 64 super-psichedeliche canzoni di “Middle Earth: 1967-1969″, un box set bello ricco che celebra la breve ma intensa esperienza del Middle Earth, uno storico locale londinese attivo per una manciata di anni in quel di King Street, a Covent Garden.

Il club, allestito negli spazi di un ex deposito ortofrutticolo, venne fondato dal promoter Dave Howson con la speranza di andare a riempire il vuoto lasciato dalla chiusura dell’UFO Club, cuore della vita hippie e della controcultura britannica dove iniziarono la loro scalata alle stelle artisti come Jimi Hendrix, Pink Floyd, Marc Bolan, Soft Machine e Arthur Brown.

Il Middle Earth aprì ufficialmente il 24 agosto 1967, nel pieno della Summer of Love, e nel giro di pochi mesi divenne un luogo di riferimento non solo per la musica psichedelica, ma anche per l’arte underground tout court. Un rifugio per giovani creativi e fricchettoni di ogni tipo affamati di sperimentazione e avanguardia. Una “Terra di Mezzo” lontana mille miglia dalla realtà incolore del mondo esterno, popolata da un pubblico alla costante ricerca di stimoli forti.

Le sale del locale vennero concepite in maniera tale da facilitare la completa immersione degli spettatori nel tunnel della psichedelia. Con l’introduzione di luci stroboscopiche, proiettori, diapositive con colori accecanti e profumi d’incenso si volle offrire ai clienti la possibilità di andare su di giri anche senza l’assunzione di alcun tipo di droga. Non che le sostanze stupefacenti fossero state messe al bando dai proprietari…anzi.

Nel libro “Days In The Life – Voices From The English Underground 1961-1971″ di Jonathan Green, il Middle Earth viene ricordato come un enorme magazzino di ananas e banane pieno di LSD, effluvi esotici e musica. Il cofanetto della Cherry Red si sofferma proprio su quest’ultimo elemento, con una selezione di tracce registrate dalle band e dagli artisti che calcarono il palco di questo leggendario club chiuso definitivamente dal 22 marzo 1969, giorno in cui i gestori furono costretti a soccombere a una miriade di problemi letali (in primis con le licenze, l’ordine pubblico e le forze dell’ordine).

Prima di presentarvi una selezione di dieci tracce tratte dal box set in questione, vi invito a riflettere sulle parole del giornalista musicale e curatore del booklet Jon Newey, che così rende omaggio alle esperienze felici del Middle Earth e della controcultura anni ’60 in generale:

In un contesto che va oltre la musica, i valori progressisti e il pensiero promossi all’epoca dalla controcultura – dall’antirazzismo ai diritti LGBTQ+, dal femminismo all’ambientalismo e oltre – sono oggi in prima linea, e  hanno apportato miglioramenti che più di mezzo secolo fa erano appena immaginabili. Valori conquistati a fatica ma che, con il 2025 che avanza, tornano a essere minacciati dall’inarrestabile declino globale verso un autoritarismo di estrema destra.

Questa classifica non servirà di certo ad allontanare le nubi che si stagliano all’orizzonte, ma può regalarci un po’ di sana nostalgia per quei bei tempi in cui avere una mente aperta era sinonimo di coraggio, fantasia, empatia e umanità. In attesa di un futuro migliore nel quale luoghi di ritrovo come il Middle Earth possano tornare a vivere e prosperare.

PAPER BLITZ TISSUE
Grey Man

Restano poche informazioni disponibili su questa formazione che ebbe vita effimera, anche se molto attiva come opening act per concerti di band divenute ben più celebri. I Paper Blitz Tissue sono avvolti nel mistero più fitto; tanto è vero che il fatto che Bill Bruford (Yes, King Crimson) sia stato a un certo punto il loro batterista viene considerato da alcuni una semplice speculazione. “Grey Man”, B-side dell’unico singolo da loro pubblicato (“‘Boy Meets Girl”), è un ottimo esempio di proto-jangle pop dai fortissimi toni psichedelici.

THE RIOT SQUAD FT. DAVID BOWIE
I’m Waiting For My Man

Il nome Riot Squad resta negli annali non tanto per le poche produzioni a loro carico, quanto per il peso di alcuni artisti coinvolti nel progetto nato nel 1964 sotto l’egida dell’impresario e produttore musicale Larry Page. Tra i membri di rilievo, in periodi diversi, figurano il batterista Mitch Mitchell (poi con la Jimi Hendrix Experience) e un giovanissimo David Bowie, che qui troviamo alle prese con una cover un po’ acerba ma interessante di “I’m Waiting For My Man” dei Velvet Underground.

THE FLIES
Magic Train

“Magic Train”, ultimo singolo prodotto dai dimenticatissimi The Flies prima dello scioglimento arrivato sul finire degli anni ’60, è una piccola delizia di pop psichedelico. Spensierata e coloratissima, la canzone non è un capolavoro ma si fa ascoltare con estremo piacere. Peccato per l’enorme sfortuna di un gruppo che non ci ha lasciato alcun full-length, incapace di sfruttare il tiepido successo ottenuto da un loro precedente singolo (“(I’m Not Your) Steppin’ Stone”, cover di Paul Revere & The Raiders).

BLOSSOM TOES
Telegram Tuesday

Con la vivacissima “Telegram Tuesday” i Blossom Toes ci mostrano il lato più solare e allegro della psichedelia britannica. Uno spaccato del miglior pop anni ’60 tratto da “We Are Ever So Clean”, l’album di debutto di una band vissuta troppo poco ma capace di regalarci non poche “prelibatezze”.

THE BONZO DOG DOO-DAH BAND
Canyons Of Your Mind

Provocatoria, dissacrante e ironica. Negli anni ’60 la Bonzo Dog Doo-Dah Band ebbe il coraggio di “giocare” con la musica psichedelica fondendola con lo stile demenziale, il jazz e le sonorità tipiche del rock and roll delle origini. “Canyons Of Your Mind” sembra fare il verso a una ballad in stile Elvis Presley, ma i rutti amplificati dal riverbero ci fanno ben capire di essere al cospetto di una canzone d’amore che di tradizionale non ha davvero un bell’accidente.

ECLECTION
Mark Time

In “Mark Time” gli elementi tipici della psichedelia e del folk si fondono per dar vita a un bel pezzo rock epico e trascinante. Uno dei pochissimi prodotti dagli Eclection che, dopo aver dato alle stampe un album di debutto nel 1968, svanirono per sempre nelle nebbie del tempo.

THE DEVIANTS
Garbage

I Deviants, fedeli al loro nome, suonano davvero come dei degenerati che vogliono solo prendere a picconate la normalità. Il loro rock acido e strampalato, contraddistinto da elementi di psichedelia e garage, può senz’altro venir equiparato a uno schiaffo in faccia al mainstream. La band suona sporca, malata e maleducata: i Deviants furono punk dieci anni prima la nascita ufficiale del genere.

THE CHRIS MCGREGOR SEPTET
Up To Earth

Sul palco del Middle Earth di Londra suonarono artisti di ogni genere e tipo. Tantissimo rock psichedelico, ma anche sonorità più impegnative e atipiche come quelle del pianista sudafricano Chris McGregor. “Up To Earth” è un intricatissimo esperimento free jazz che ci mostra il lato più coraggioso e innovativo della musica underground anni ’60.

ARCADIUM
Woman Of A Thousand Years

Dopo la chiusura nel 1969, i gestori del club londinese fondarono un’etichetta discografica indipendente chiamata Middle Earth Records. La label visse appena due anni ma pubblicò diversi singoli e dischi, tra i quali anche “Breathe Awhile” degli Arcadium. L’hard rock psichedelico di “Woman Of A Thousand Years” è tratto proprio da quest’album, l’unico dato alle stampe dal gruppo del cantante e chitarrista cipriota Miguel Sergides.

LIVERPOOL SCENE
Baby

La Liverpool Band, innovativo progetto formato da musicisti e poeti, proponeva un rock psichedelico influenzato dal jazz e dal movimento letterario della Beat Generation. Nel brano “Baby”, pubblicato come B-side del singolo “Son, Son” nel 1968, c’è un’interessante commistione tra blues rock e spoken word che sembra quasi voler anticipare alcuni elementi tipici dell’hip hop.