Manuel Fantoni è rimasto da solo. No, non ci riferiamo alla simpatica canaglia interpretata in maniera magistrale dall’ottimo Angelo Infanti (pace all’anima sua) ma all’altro Manuelquel Sergio Benvenuti (Carlo Verdone) che ci ha messo tutta la trama di un film – l’iconico “Borotalco” (1982) – per rendersi conto che la vita non è un’enciclopedia e che negli occhi della bellissima Nadia – interpretata dalla splendida Eleonora Giorgi – vi erano sogni e illusioni di un’intera generazione. Sì, insomma, questo scritto non vuole essere un epitaffio della Giorgi. Del resto, della brillante carriera dell’attrice romana, della sua eleganza atavica –  che l’ha illuminata anche durante la malattia – è stato già raccontato tutto. Più che altro, ci piacerebbe omaggiare Eleonora a modo nostro, attraverso l’analisi – del tutto personale, ci mancherebbe – di Nadia, Sergio e di un’Italia che non c’è più.

Detto questo, alzi la mano chi non ha mai sorriso amaramente nell’assistere alla scena finale della pellicola in questione. Quella delle scale e del “baciami scemo“, per intenderci. Ecco. In quegli attimi esatti, in quegli istanti così poetici, tutti coloro che si sono affacciati al film per la prima volta, magari subito dopo l’adolescenza come il sottoscritto, non possono non aver preso atto delle pennellate di disincanto con cui il Carlo nazionale si è congedato dall’opera, affidandosi – tra l’altro – a una delle canzoni più belle degli Stadio (scritta insieme a Lucio Dalla), “Grande Figlio Di Puttana“.

Già, Lucio Dalla. Ognuno di noi ha amato la Nadia di “Borotalco” proprio per la sua rincorsa folle, romantica e un po’ sgangherata al grande e indimenticato artista bolognese. Nadia, in pratica, rincorreva Dalla per salvarsi dalla realtà. Un po’ quel che facciamo tutti – abitualmente – quando indossiamo un paio di cuffie e premiamo il tasto play per far partire il disco della vita, del giorno, della settimana. Anche per questo “Borotalco” è uno dei film più belli degli anni Ottanta: perché racconta della complicità di una coppia attraverso i limiti dei due protagonisti, più che attraverso i loro pregi, senza mai cadere nei soliti cliché della retorica. Buttandola su di un piano prettamente musicale, potremmo definire il tandem formato da Manuel Fantoni (sì, sempre quello di Verdone) e da Nadia Vandelli, come un duo di veri new romantics. E con la Roma spensierata degli 80s – non più Felliniana ma meravigliosamente edonista – a fare da splendida cornice pop.

La scena sulla spiaggia, quella col cielo rosa-pastello e gli occhioni (bellissimi) di Eleonora Giorgi che pendevano dalle labbra del pallonaro (nel senso letterale di uno che racconta balle) Manuel, vale quasi come un disco dei Soft Cell o degli Human League, non credete?  “Borotalco” è un’opera dannatamente riuscita, proprio per la sua enorme musicalità. Riscontrabile anche e soprattutto nei suoi personaggi. Se Nadia possiede il carisma, la determinazione, la cifra umana di una qualunque delle grandi leader delle band Eighties, Sergio/Manuel gioca con le solite insicurezze Verdoniane; state pur certi, però, che un personaggio così puramente indie-rock all’interno delle pellicole del grande regista romano, non lo troverete più. 

Probabilmente, in una sorta di universo parallelo, Nadia e Manuel stanno continuando ad inseguirsi malinconicamente come due antieroi dei videogiochi di un tempo. O forse, no, sono rimasti intrappolati entrambi all’interno delle proprie esistenze. La realtà, invece, ci dice che Manuel è rimasto da solo. Come nella scena (tristissima) del post-matrimonio con Rossella, la figlia di Augusto (un inimitabile Mario Brega). Si consolerà (forse) pensando che il famigerato incontro con Lucio Dalla si è finalmente realizzato.

E noi con lui. Grazie di tutto Nadia.