La seconda prova sulla lunga distanza del trio di Chicago, che si era fatto notare col primo “Versions Of Modern Performance”, opera post adolescenziale di rapida presa in territorio noise, ha tutte le caratteristiche per diventare il caso indie dell’anno, se non fossimo forse un pò in anticipo per tirare delle somme definitive. Queste undici canzoni, destrutturate e sciolte da ogni vincolo sia rumoroso che banalmente orchestrale, riflettono la condizione di estrema confidenzialità dell’approccio del trio, che tratta la materia dell’alternative rock attingendo a piene mani dal repertorio classico di abbeveraggio di queste forme, diciamo Velvet, Sonic Youth morbidi, Breeders.

E’ come se vi fosse una forma di prudenza esibita nel dipanare sensazioni, umori e collante epidermico, fra evidentemente vissuti stretti e intensi da garage e bedroom stories, un’ipotetica fotografia dell’underground statunitense che riflette un modo distaccato e non pomposo di interpretare questa sensibilità: in una parola, una sincera attitudine indie che si riflette dalla prima all’ultima nota di questo notevole “Phonetics on and on”.
Come al solito in questi casi, si può benissimo dire che siamo alla solita riproduzione di un clichè stantio e che ci si scioglie ogni volta di fronte a canzoni che bene o male abbiamo sentito da 30 anni a questa parte, ma questa ciclicità non è dannosa, nè manieristica, è una specie di ciclicità sorgiva, di cui si sente enormemente la necessità , certo quando di buona qualità come in questo caso, perchè dà appartenenza e permette di sperare che questa attitudine possa ancora essere interpretata per dare linfa alla musica che ci piace di più.
Conquistano in particolare le code delle canzoni, quel malinconico e avvolgente lascito che troviamo disseminato qua e là (“In Twos”, “Sports meet sound”,”Information Content”, altre), forse il contributo maggiore dato da Cate Le Bon in produzione, una specie di calco sulla dimostrazione della personalità delle Horsegirl, libere di seguire il proprio istinto (come succede ad esempio in “2468”, dolce filastrocca psych), oltre che nell’isolare, alzando equamente il livello, il minimalismo basso batteria chitarra, per farne uscire un album che profuma di gite all’aperto, di azioni condivise lungo gli anni, di ascolti in gruppo della musica di formazione, di sogni in comune da far esplodere, con garbo e protezione, dentro un garage sotto casa.