La notte come premessa e sostanza del profondo, uno spazio trascendentale dove immergersi e stazionare per porre una luce, un “alone sul di dentro” e allo stesso tempo ricalibrare la potenza della nostra dimensione, la sua eccitante, misteriosa ebbrezza del pensiero, in una condizione di libertà pericolosa e stupefacente alternanza di crisi e furore, minacce e lucidità.

Pensato, scritto e suonato durante le ore notturne, in “Halo on the inside” Haley Fohr ridisegna i confini della percezione della verità, ribadendo con forza la sua essenza come espressione dell’immaginazione della mente, spogliandosi di un album magnetico e affascinante, dove il canto baritonale pone ancora più al centro la dimensione totalitaria della personalità della cantante di Chicago, raggiungendo vette di pathos nuove, concrete e vitali.
“Megaloner” e “Canopy of Eden” sono una doppietta iniziale ad alto voltaggio, dove il ritmo marziale si innesta su climax electro abrasivi, degni di lussuriosa e aperta devozione reznoriana, perfette colonne sonore per esaltazioni notturne metropolitane, “Cathexis” è la ballad from the outer space , inquietante e liberatoria nel suo finale con arpeggio Radiohead, “Truth” è una danza tribale da dancefloor immaginifica, una sorta di trance primordiale alla Depeche periodo “Black Celebration”.
Ma è tutto l’album una commistione fra parti elettroniche, voce filtrata o lirica, frequenze distorte, loop e droni, una magnifica opera dark wave di consistente feeling con la nostra parte nascosta, che rimane sola e indifesa all’interno di un superiore gioco cosmico che possiamo solo avvicinare (“Cosmic Joke”), ma che trova nei momenti in cui potersi immergere in queste onde sonore vibranti, la possibilità di liberarci dal dolore, di svoltare alla fine del percorso, come nell’ambient finale di “It takes my pain away”, parole scolpite su un sinth quasi sacro, con un loop alla Basinski e la consapevolezza della bellezza del viaggio verso l’ignoto.
Crisalide in piena trasformazione.