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Per chi non lo conoscesse, Alberto Molteni è il padrone di casa dell’Arci Bellezza e se ci fosse un ranking ATP dei promoter, reciterebbe la parte del primo della classe, arrivando in cima alla classifica, proprio per la mole di artisti che, da un paio d’anni a questa parte, sta ospitando, facendo diventare il club, all’incrocio di via Ripamonti, un posto di culto della scena milanese. Artisti di ogni genere dall’italiano in rampa di lancio, all’artista internazionale di portata storica. Avevamo già fatto un approfondimento sulle attività del circolo in un articolo di qualche mese fa. Ora abbiamo l’occasione di fare, direttamente, due chiacchiere con lui, per conoscerlo meglio e scoprire aneddoti e curiosità di un mestiere apparentemente facile, ma che, in realtà, può anche essere molto complicato.

Ciao Alberto, bentrovato e benvenuto su Indieforbunnies, in tanti ti hanno conosciuto, recentemente, per il fitto lavoro al Bellezza diventato, come detto più volte, un posto “obbligatorio” per Milano per chi ama la musica di qualità. Ma tu nasci promoter e addetto ai lavori a partire da quando e un ricordo del tuo primissimo concerto organizzato?
Mi sono innamorato della musica dal vivo e ho scelto di fare di questa passione un lavoro da giovanissimo – suonando la batteria nella cover band del liceo, intervistando nelle loro sale prova i tantissimi artisti della scena brianzola (da dove vengo) per piccole testate locali, macinando chilometri nella nebbia verso i primi concerti da vedere con band indie nei club della provincia. Come tanti organizzatori di concerti ho iniziato, banalmente, anche perché suonavo uno strumento; poi quando mi sono accorto che non sarei mai stato un bravo musicista sono passato “al lato oscuro” dell’organizzazione.
A diciott’anni ho comprato un piccolo impianto audio per andare in giro a organizzare concertini (della mia band e non solo), durante gli anni dell’Università mi sono aperto la Partita IVA e ho iniziato a lavorare più che potessi (anche gratis se c’era tanto da imparare), bussando a tutte le porte che incontravo, in Italia e all’estero. Ogni volta che andavo a sentire qualche live mi fermavo a vedere come si muovessero le luci, che tipo di impianti venissero utilizzati, cercavo di capire cosa si dicessero le persone coinvolte nella produzione e di conseguenza cosa come sarebbe successo durante lo show: volevo diventare uno che quelle cose, quegli spettacoli, quegli eventi, quei concerti, li faceva succedere. Il mio primo concerto organizzato? A occhio in una libreria decisamente molto avanti con i tempi (si parla di una buona quindicina d’anni fa) in provincia di Lecco, dove mi diedero fiducia per costruire una rassegna giornaliera di concerti con artisti emergenti del territorio, uno ogni pomeriggio per un mese intero.

Oggi stiamo vivendo in un momento storico dove la musica, quella importante, quella impegnata, sta soffrendo per via della frattura che si è creata tra le nuove generazioni, totalmente orientate verso un unico genere, ovviamente mi riferisco al mondo urban, ignorando, spesso e volentieri, le radici e tanti capisaldi culturali, tu cosa ne pensi di questo andamento e che difficoltà incontri in tal senso quando devi riempire i calendari della stagione?
In realtà penso sia giusto insistere sul fatto che la distinzione tra “cultura alta” e “cultura bassa” sia ormai saltata da qualche decennio, al di là della tecnica, del gusto, della tipologia di arte sviluppata, del numero di persone raggiunte. La frattura tra generazioni è reale, ma personalmente credo sia più importante pensare al tema della mancanza di memoria storica collettiva e condivisa sulle band e sulla musica, diventata in questi anni così veloce, spesso usa-e-getta, un po’ vuota o drammaticamente dimenticata prima ancora di essere magari suonata dal vivo su un palco. Tuttavia, è nostro compito pensare che ci sia anche un’opportunità in questo: le nuove generazioni hanno accesso a una vasta gamma di contenuti ed influenze e, sebbene possano sembrare concentrate su un unico genere, ci sono molti artisti che cercano di mescolare stili diversi, portando avanti un dialogo. La musica deve essere scambio, non gerarchia.
Come Arci Bellezza, per noi è chiara la consapevolezza di essere un presidio, di avere una responsabilità,portare Bellezza e “resistere” ad alcune tendenze, rispondendo con una serie di valori che partono dal nostro statuto, si fanno basi del nostro agire, vengono declinate ogni sera in musica e si rafforzano con il tempo. Ci concentriamo su filoni musicali che spaziano tra cantautorato e indie-rock, ci sono omaggi a grandi nomi del passato e rassegne di super emergenti con anche 15-20 progetti a sera su anche più palchi, tutto questo mantenendo sempre uno sguardo attento sulla scena internazionale e sui festival di rilevanza globale. Questo approccio ci porta a sviluppare una visione un po’ ostinata e contraria, ma sempre senza spirali involutive, bensì con curiosità e incontinua espansione.
Se dovessi descrivere ciò che contraddistingue i progetti che si esibiscono sul palco del Bellezza, direi che sono estremamente eterogenei: cerchiamo sempre di mantenere una direzione chiara, puntando su progetti che rappresentano in ogni caso a loro modo delle icone, che hanno una storia e che portano un valore significativo, anche se appartengono a generi diversi e si rivolgono a pubblici vari, ogni artista ha un’importanza unica e ha fatto la differenza nel proprio ambito. Sono infatti estremamente certo che ogni progetto che si esibisce sul palco del Bellezza abbia definito o rappresentato un momento significativo per qualcuno – e questa è una cosa da onorare e valorizzare -che si tratti di una super nicchia di 30 persone o di un gruppo di fan di qualche centinaio di persone pronto a crescere e ampliarsi anche grazie a quell’atto, a quel live. Anche se nel tempo questi gruppi, questi act, questi progetti, possono crescere o scomparire, ogni artista ha rappresentato qualcosa di importante per una certa scena.

Vista la tua esperienza, come sta la musica live? Fare i palazzetti per gli artisti di nuova generazione è ormai routine, ma chi non segue la musica modaiola o le suggestioni e i dogmi mainstream a cosa va incontro?
Onestamente penso la musica live stia molto peggio di come sembri, il che è tutto dire, e che parlare il più possibile di questa dicotomia tra “grande” e “piccolo” sia quanto menonecessario oggi: la forbice si è allargata in maniera drammatica con l’ingresso avvenuto negli ultimi anni delle agenzie, grandi player nella scena (ex) indipendente. Troppo di ciò che ha sempre rappresentato il mondo e l’immaginario dell’indie di trova oggi dall’altra parte di una barricata che è troppo spostata sul business piuttosto che sulla musicain sé, sugli spazi che la ospitano o sulla cultura del farne parte.
Non pretendiamo di essere così ingenui da non sapere che si tratta di dinamiche anche economiche, di un universo giustamente commerciale, di qualcosa di “pop”appunto, ma cerchiamo di fare il possibile perché queste differenze diminuiscano, perché i percorsi degli artisti siano più organici e meno “calati dall’alto”, perché si ripristini equità nel settore, perché artisti e spazi possano avere una vita naturalmente più lunga e sana. Troppo spesso poi purtroppo ne fanno le spese due componenti della filiera: da un lato i fan, coloro che andrebbero più tutelati perché sono il vero centro del settore e soprattutto dall’altro lato quella socialità che è rappresentata dalla fruizione del live.
Sul primo punto potremmo parlare a lungo dei fenomeni che portano i fan a spendere centinaia di euro con ormai oltre un anno di anticipo per partecipare a maxi-eventi sempre più alla rincorsa del grande, potremmo parlare di palazzetti non pieni, potremmo parlare di eventi annullati senza la minima comunicazione a riguardo. Sul secondo punto, partecipare ad un concerto significa per me “stare insieme”, conoscere persone con cui si è certi di avere più di qualcosa in comune, vivere un’esperienza: un palazzetto non può mai equiparare il sentimento che uno spazio come un club, un circolo, possono dare, banalmente perché nasce e si sviluppa per un altro scopo, non rappresenterà mai ciò che si appresta a contenere, in maniera peraltro spesso troppo occasionale o comunque senza una logica artistica. Il bello di trovarsi in un posto come il Bellezza a mio avviso è che senti di appartenerea una community, un club, di avere una casa condivisa con un gruppo di persone, accomunate da qualcosa – tutti sinonimi di quello che è sempre stato e sempre sarà “un circolo”.

La tua programmazione vive, oltre che di eventi più chiacchierati, anche, spesso e volentieri, di vere e proprie scommesse, abbracciando proposte, a sua volta all’arrembaggio di alcune agenzie, la lungimiranza di portare artisti in una primissima fase della loro carriera, prima di un eventuale hype. Ricordi, fin dagli esordi, i nomi che più ti hanno regalato soddisfazione in merito?
In queste stagioni di Arci Bellezza cito sicuramente Thus Love, Lamante, Leatherette, Anna Castiglia, Ditz come act o band per cui qualcosa sta già succedendo. Recentemente mi è capitato invece – in tutt’altra direzione ovviamente – di rivedere qualche video di una delle prime date di Olly, prima di Sanremo e di tutto, nel 2022, sul nostro palco con un ingresso a10€ o giù di lì. Negli anni, in gioventù, invece ho avuto il piacere, ad esempio,di collaborare su concerti – ancora ai tempi del loro primo giro di piccoli club tra Milano e provincia – per artisti oggi cresciuti, come Nothing But Thieves, Brunori SAS, James Bay.

Se non sbaglio una sera ne avevamo anche parlato, se un club principe con, evidentemente, capienze differenti, sia chiaro, come il Paradiso di Amsterdam, sia stato preso come esempio, penso ad alcune serate al Bellezza, con due eventi in concomitanza, con, oltre che la sala principale, anche la palestra Visconti, quali sono i punti di riferimento per reggere un’intera stagione mantenendo sempre alta l’aspettativa?
Non ci sono molti segreti in realtà, o meglio, per noi è molto più semplice di quanto si creda perché le cose succedono in maniera estremamente naturale. Per reggere l’aspettativa, con la continuità di una programmazione sette giorni la settimana, pensiamo con costanza a due cose: da un latoa progettare combinazioni e formule interessanti con artisti che rappresentano qualcosa, dall’altro a creare la giusta atmosfera dentro e fuori, prima e dopo, l’evento.
Nel primo caso intendo la determinazione a trovarsi sempre di fronte a musica originale, significativa, che abbia un messaggio da trasmettere – o per ciò che ha rappresentato nel passato, o per quello che sta facendo adesso, oppure ancora per quello che immaginiamo possa evolversi e raggiungere in futuro – senza limiti di genere. Nel secondo caso intendo occuparsi di ogni fase del processo e della progettazione: prima dell’evento generando interesse insieme ai partner coinvolti, durante lo stesso con un buon lavoro di esperienza dei partecipanti, successivamente con i racconti che “escono” e sono destinati a restare nella memoria delle persone “oltre il momento”.

Programmazione che parte di gran carriera dopo l’estate e che si conclude con il primo caldo, la curiosità ci impone di chiederti qualche spoiler per il 2025, oltre agli artisti già annunciati, ma so che, a volte, si chiudono accordi anche un anno prima. Non so se è ancora tutto top secret o c’è qualche anticipazione che puoi farci.
Sono decisamente troppo scaramantico per anticipare artisti non annunciati e nel nostro caso non è così facile fare spoiler, perché ci piace tanto l’idea di presentare la nostra programmazione molto a lungo termine: per quanto possibile ci piace sin dall’inizio “avvicinarci” ai nostri soci nella prima fase della stagione facendo vedere quali act li aspetteranno nei mesi successivi ed anticipando dunque già tanto il più possibile della line-up stagionale.
Sicuramente comunque se posso dire da chi mi aspetto molto in questa seconda parte di stagione, tra le chicche in arrivo ,direi Chalk, Bohren & der Club of Gore, Rafael Toral, Balmorhea, Vendredi sur Mer, Gizmo Varillasper quanto riguarda gli internazionali,mentre sugli italiani Giulia Mei, Parbleu, Giallorenzo, Clap Clap!.

L’abituale domanda che non si può non fare ad un addetto ai lavori come te, le bizzarre richieste dei rider, che non saranno mai come quelle delle grandi popstar negli eventi oceanici, ma, a volte, capita anche tra le nuove leve: cosa puoi raccontarci a riguardo?
Nella lista delle mie richieste preferite sui rider arrivate negli ultimi anni a Casa Bellezza (dove siamo come sempre ben contenti di accettare la sfida e metterci alla ricerca di tutto quello che serve per fare sentire accolti gli artisti) direi che metto: le rose rosse di Nuovo Testamento, i 4 gratta&vinci dei Giallorenzo, i bagni genderless in tutta la location per le Arxx (da noi esistevano già anche se da pochi mesi), il frigo con “90 birre + 3 bottiglie di vodka + 1 bottiglia di Branca Menta + 2 bottiglie di Campari + 3 bottiglie di prosecco” dei Derozer, la carota di Bugs Bunny (“one and one only”, non una di più) dei Deerhoof, il lettino per tatuaggi dei Body of Reverbs, la confezione di Alka Effer dei Brucherò Nei Pascoli, il bouquet di fiori freschi per Ichiko Aoba, le Lucky Strike di Micah P. Hinson, la copia del New York Times per Thurston Moore, il ritratto incorniciato del drammaturgo tedesco Heiner Müller per i Rome.
Queste sono le cose un po’ più particolari, uniche e simpatiche, che poi completano comunque in ogni caso le richieste “standard”, sia a livello tecnico che di ospitalità, come una cena con attenzione alle intolleranze, l’asse e ferro da stiro, catering e birrette, le pizze da asporto per la band da caricare calde sul furgone andando via dopo aver caricato tutta la backline sul furgone.

Magari difficile scegliere, ma quei 3/4 concerti che sono passati dalla tua agenda, che ricordi con piacere, e che, effettivamente, hanno rispettato tutte le aspettative del caso?
Tre o quattro impossibile, se mi concedi di arrivare a quindici nomi per riassumere i più bei live queste ultime stagioni di Arci Bellezza ti dico sicuramente Thurston Moore Group, Nada, Efterklang, Micah P. Hinson, Cristina Donà, Ben L’Oncle Soul, Gazebo Penguins, Kiefer, Dame Area, Emma Nolde, ZEP, Public Service Broadcasting, Mass of The Fermenting Dregs, Laura Misch, Marta del Grandi.

La passione per la musica che ti ha fatto scegliere questo mestiere, dò per scontato che porti in dote una serie di gusti musicali ben precisi, quindi sicuramente ti chiedo i dischi della tua isola deserta, che può sembrare una domanda banale, ma che regala sempre soddisfazioni, ma anche nuove scoperte dell’immenso underground attuale, che ti senti di consigliare ai nostri lettori?
Concedimi 3 dischi italiani: “Aurora” – I Cani, “Un Giorno Nuovo” – Sick Tamburo, “1964-1985 affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi, del conseguimento della maggiore età” – CCCP e 3 dischi stranieri “Hoy Como Ayer” – Hermanos Gutierrez, “Atom Heart Mother” – Pink Floyd, “The Lion’s Roar” – First Aid Kit.