Beh, che volete che vi dica? Sarà il cantanto in portoghese che ha questa inflessione morbida, senza spigoli e delicata o sarà la varietà della proposta che si muove con totale disinvoltura tra indie-rock, shoegaze e dream-pop…io non lo so, ma questo disco dei brasiliani Terraplana mi sta entrando dentro come non mai.

Credo che il punto forte sia proprio questa capacità di smarcarsi dai classici dettami di un genere: certo c’è tutto quello che un amante dello shoegaze potrebbe volere, ma è così svelato a piccole dosi, mescolato con altre suggestioni e coordinate che tutto si fa ancora più accattivante, perché non si sà a cosa potremmo andare incontro.

Prendete “amanhecer”, che per me è ammantata di quella “nostalgia” tipicamente brasiliana, c’è una malinconia che si eleva da queste voci che sembrano quasi tristi e compassate, mentre la band svela la sua predilezione per l’indie-rock pronto ad accendersi. Sembra quasi di trovarsi di fronte a dei Been Stellar, che notoriamente trasudano New York, trapiantati in una nuova realtà, più vaporosa e meno frenetica, rabbiosa e oscura, ma non per questo meno sofferente. Come non farsi ammaliare dalle doppie vocidi “todo dia”, ancora una volta così dilatate e ancora una volta senza la predilezione di dover per forza accentuare il lato più sonico.

Ci sento una nota psichedelica e visionaria in “hear a whisper”, brano in inglese che vede la partecipazione di Winter: lavoro suggestivo sulle voci che pare di sentire gli Stereolab e poi questa visione spaziale ed evocativa, sostenuta da una ritmica incalzante.

La predilezione per i ritmi non particolarmente accesi e in realtà è ben esplicata dall’apertura del disco, con la narcolettica “salto no escuro”, che mette in luce già le priorità della band e il suo sound che si apre a ventaglio, stuzzicando palati variegati: una riflessività che viene turbata da colpi di chitarra, lo shoegaze sembra arrivare, ma sta quasi in disparte, controllato, misurato. Ecco, misurato è la parola giusta, la band non sbada mai verso il troppo facile e anche quando potrebbe farlo usa l’arte della misura: “charlie” potrebbe diventare inno indie-rock anni ’90, ma quel giro iniziale è inserito in un contesto ricco di parsimonia per brillare ancora di più.

Senti che roba la sospensione di “horas iguais” costruita come un Tetris in cui i pezzi sembrano mancare e poi invece arrivano improvvisamente tutti per completare il souno, questa è alta ingegneria musicale, signori miei. E il bello è che il meglio ce lo tengono per il finale, con “S.N.C.” che mi rimanda ancora a dei Been Stellar completamente dislocati in un mondo nuovo in cui si sono calati alla perfezione e poi la sublime “morro azul” che è fonte di costante tensione emotiva. Sembra quasi un brano dei Radiohead in partenza, poi ecco quell’assolo che mi inchioda, con quel taglio freddo e post-punk, e quando la corda del climax è tesissima ecco la discesa. Che meraviglia.

Io ve lo dico, entrate in questo disco, concedetegli ascolti, lasciate che vi catturi…non potrete più farne a meno.

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