“Doctor Dark” è il nuovo, folle, album dei Residents. Si tratta di un’opera in tre atti. I generi portanti di questo lavoro sono avant-metal e neoclassica. Le tematiche affrontate sono la malattia terminale, l’eutanasia e l’abuso di sostanze. L’ispirazione per questo lavoro arriva dalla cronaca nera americana. Si parla infatti di una causa intentata dalle famiglie di due ragazzi contro i Judas Priest, per presunti messaggi subliminali che avrebbero i due giovani a tentare il suicidio, e alla vita di Jack Kevorkian, medico a favore dell’eutanasia.

La prima parte dell’album racconta di Mark e Maggot, due giovani che annoiati dalla vita decidono di armarsi e fare una strage. Maggot all’ultimo momento punta il fucile contro di sé e si spara. Mark la segue. Nella seconda parte conosciamo Anastasia Dark, dottoressa rinchiusa in carcere perché concedeva l’eutanasia a chiunque ne facesse richiesta. Nella terza e ultima parte le due storie s’incrociano. Si scopre che Mark è sopravvissuto al tentato suicidio mentre la dottoressa è stata scarcerata in attesa del processo a suo carico.
Siamo di fronte ad un lavoro di dimensioni importanti (75 minuti), impreziosito da un’orchestra sinfonica: il San Francisco Conservatory diretto dal maestro Edwin Outwater. Purtroppo le premesse intriganti e, soprattutto, le intuizioni musicali si fermano alla prima parte. Per i restanti due terzi del disco, a mio parere, l’opera è come se implodesse e si richiudesse in se stessa. Non siamo certo sui livelli di “Meet The Residents” o “Eskimo” ma si tratta di un buon ritorno dopo le prove sinceramente deludenti degli ultimi album.
Direi degni di nota i primi pezzi. “Prelude / Metal Madness”, “White Guys With Guns”, “Maggot Remembers” e “Tension”. Tutti all’insegna di una gradevolissima fusione fra trash metal e musica classica.
“Doctor Dark” vuol essere una sfida, una provocazione, un territorio inesplorato. Esperimento riuscito a metà.