Dalla polvere da sparo di “Elvis” alla polvere di stelle di “El Galactico”, decimo album in studio per la band toscana, autentica portabandiera del pop-rock d’autore italico degli ultimi anni.

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E se “Elvis” smaniava in tracciati blues, qui è soprattutto il jangle 60’s a tinte US-West Coast a disegnare le traiettorie iniziali, dove le penne di Bianconi e sodali si incastrano col loro ricettario consolidato, rétro ma mai vetusto, deflagrando in melodie ed in ambientazioni sonore “oscenamente pop”, a prendere in prestito un’espressione già usata dallo stesso chansonnier in passato.

Brani che sembrano, ad un primo disinteressato ascolto, portare con sé bagliori à la Laurel Canyon, laddove invece sono forieri di emozioni délabré, di disagi, decadenze, inadeguatezze che ancora oggi risultano senza tempo, e a cui i Baustelle ci hanno storicamente abituati: in “Pesaro”, che apre i giochi, le progressioni melodiche e gli arrangiamenti splendono come il sole sul lungomare, mentre qualcuno è morto e qualcos’altro, dentro, sta morendo; conferme arrivano anche nella successiva, già diffusa, “Spogliami”, che tintinna per poi esplodere in una supernova power-pop, contraltare alle parole che tratteggiano un quadro deprimente; è lo stesso spaccato che emerge dalla denuncia socio-ambientale di “Canzone Verde, Amore Tossico” con i suoi tocchi sintetici, o nelle scintillanti carambole di “La Filosofia di Moana” (quella Moana) che nascondono invero profonda e straziante malinconia, la stessa che si respira in “Una Storia”, spaccato di una cronaca nera non nuova ai Nostri, che riporta su un canovaccio sonico altrettanto non nuovo, tra archi sullo sfondo e inneschi a giri contenuti.

Altre bordate pop in maschera sono “L’imitazione dell’amore” e la radiofonica “L’Arte di Lasciare Andare”, prima che l’intramezzo strumentale di “Per Sempre” apra il varco alla intensa quanto polverosa “Giulia Come Stai” ed alle scariche elettrolitiche della fresca “Lanzarote”, mentre la iper-Bianconiana “La Nebbia”, portata per mano dall’orchestra, apparecchia per i saluti dell’altrettanto strumentale “Non è una Fine”, trainata dalla chitarra abrasiva di Brasini ed ornata dal cantico della Bastreghi.

Per quanto non superiore a livello di ispirazione e di qualità assoluta ad alcuni precedenti lavori della band, i Baustelle con “El Galactico” riescono a reinventarsi ed a battere più o meno inediti sentieri sonori, senza però mai perdere di vista il proprio approccio stilistico. Non era facile, quantomeno scontato.