Ci son voluti sette lunghi anni per far rinsavire la band folk del nuovo millennio. Il trio (dopo la dipartita di Marshall) si impone nuovamente nella scena musicale con un album che è un buon punto di ripartenza per tornare ad essere grandi.

É stato un colpo al cuore, in positivo, quando il primo singolo “Rushmere” è uscito all’aria aperta. Di nuovo quel piccolo banjo così tanto amato e dimenticato. Una struttura strumentale interessante e che si rivolge al passato con un Marcus Mumford dimagrito e più in forma che mai a livello vocale. Gli elementi ci sono tutti, e il resto?
Il secondo singolo, “Malibu”, è una bellissima ballad di un innamorato che vuole solo stare sotto l’ombra delle ali della propria amata. Anche questa traccia, la prima poi dell’album omonimo “Rushmere”, è potente ed evocativa. E anche questo ci piace, quindi ottimo (secondo) inizio.
Una volta uscito l’album la mia paura più grande era di andare incontro ad un nuovo “Delta” e quindi ad un nuovo tracollo. Ciò però non è successo e finalmente ho ritrovato la band inglese che tanto ho amato precedentemente. Certo, non parliamo di un album folk così come siamo sempre stati abituati (e almeno fino a “Babel”), ma l’inizio è promettente e questo mi rincuora.
Ci sono molte ballad vecchio stile, che ci riportano ai tempi d’oro ma anche al primo album solista del frontman dal titolo “Grace”. Sto parlando di “Anchor” o “Carry On”. Ma ci sono anche pezzi forti, sicuramente più moderni del loro stile campagnolo, come “Truth” o “Surrender” che fondono benissimo il loro passato, al loro durante e sicuramente al loro futuro.
Ovviamente non stiamo parlando di un album formidabile, è ancora debole a confronto di quanto ci siamo abituati nel tempo. Ma è anche vero che, dopo la delusione del quarto album, questo è sicuramente un buon punto di partenza per tornare ad essere quel gruppo che sta sul cazzo a tutti ma che non puoi interrompere su Spotify. Cerchiamo quindi di sfruttare altri sette anni, se questo è il tempo di produzione giusto per un buon album.