Spencer Peppet, Andrea Gutmann – Fuentes, Mic Adams e Jo Shaffer si affidano a Julien Baker che con loro aveva collaborato in “Neil Young On High” nel precedente “Crocus” per produrre “Spring Grove” e l’indie rock del quartetto americano diventa ancora più intrigante, vivido, ricco di sfumature già presenti in passato ma messe ulteriormente in risalto da questi tredici brani.

“Open Sky” trova subito un bell’equilibrio tra melodia e malinconia, chitarre e batteria, il violino di Gutmann – Fuentes completa un arrangiamento grintoso (Baker del resto è maestra in questo senso). Belle atmosfere che continuano nella title track, emotivamente molto significativa, in “Cumolonimbus” dal sound trascinante, riflessivo, eppure così pop.
Fragile e sofferta diventa ben presto “Vulture Tree” mentre “Salome” è puro indie rock graffiante e distorto, genere ripreso anche successivamente in “Sharpshooter”. Il crescendo di “Parade” altro brano coinvolgente e onesto e la vulnerabilità di “Forcefed” registrata in modo da far risaltare ogni arpeggio di chitarra acustica e ogni strumento confermano che ci troviamo di fronte a un album diverso e delicato per Peppet e tutta la band.
Non mancano certo momenti più lievi come la deliziosa “Cicada” o “Say To You” ma l’anima del disco è nelle melodie decise di “Crow”, nel folk orchestrale di “Gardenia”, in quello ben più classico di “Shapes”. Ritorno maturo e intenso dunque quello dei The Ophelias che dopo “Creature Native”, “Almost” e “Crocus” realizzano il loro lavoro migliore, decisamente a fuoco nel sound, nei testi e senza veri punti deboli