
30 anni tondi tondi di sodalizio a nome Delta V, mentre ne sono, poi, passati già 27 dall’esordio ufficiale, quello “Spazio” che usciva proprio nel 1998, in una stagione irripetibile della cosiddetta scena alternativa italiana, all’interno della quale il collettivo piemontese, a pieno merito, si ricavò la giusta collocazione. Ora è già tempo di futuro, e dopo l’ottimo ultimo lavoro sulla lunga distanza, “Heimat”, licenziato nel 2019, i Delta V, tornano con un nuovo singolo “Nazisti dell’Illinois“, ma soprattutto con un esaustivo giro di concerti, che li vedrà impegnati in questa primavera inoltrata.
Abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Carlo, Flavio e Marti, giusto durante una pausa dalle prove.
Come nasce una produzione dei Delta V, esiste una scrittura primordiale da songwriting? O lavorate su dei beat? Curiosità tecniche, che software utilizzate e se anche voi andate “in sbattimento” sulla scelta dei bpm dei brani?
Una volta partivamo dalla musica, trovavamo un suono che ci piaceva, un beat e poi ci costruivamo sopra un testo, invece, negli ultimi anni, accade esattamente l’opposto: Carlo, ha un taccuino, anzi 58 taccuini, dove scrive frasi, cose che poi interpreta mentalmente, poi prende il testo che ha e lo traduce in musica, quindi non è più il suono su cui cantarci sopra, piuttosto un testo intelligente, su cui costruire una musica appropriata.
Per me intelligente è l’evocazione di una frase, come Flavio giustamente dice: una volta usavamo un suono, c’era un synth di un campione che ci forniva di ispirazione, adesso invece è una frase.
Per quanto riguarda i software: Carlo usa Ableton live e io uso Reaper, Vernetti (produttore, ndr) quando mixa, usa Cubase, quindi, uno usa un programma diverso dall’altro, c’è un po’ di confusione (Risate).
Lo sbattimento di bpm, si c’è sempre stato, ci siamo scambiati un pezzo che per decidere se era 123 o 126 ci abbiamo messo un mese, perchè comunque nella musica a base elettronica, il bpm è fondamentale, questo perché non puoi fare come nella musica suonata. Esempio, nel ritornello vai più forte come fai nella musica rock, il ritornello spinge di più e hai risolto il problema, qui no, la musica elettronica è una questione di accenti, l’accento è quello che ti da il groove, il bpm se sbagli di uno, hai sbagliato il pezzo.
Di solito c’è tanta differenza che ti separa da un genere all’altro, soprattutto quando cambi gli accenti o quando cambi lo swing o queste cose qua, cambia molto, almeno noi ce ne accorgiamo, poi magari alla gente non gliene frega niente, però per noi è una roba vitale. Noi ci siamo stati veramente su alcuni pezzi per 3 bpm, abbiamo passato un bel pezzo di tempo sopra quella roba, perché è fondamentale, cambia l’atmosfera e poi con il testo il cantato si affanna leggermente, non ti permette più di cantare indietro al modo giusto per poter dare il groove. Martina ha questo grande pregio, che è fighissimo, di cantare sempre un po’ indietro come facevano i cantanti di una volta come Frank Sinatra, che sul battere non ha mai cantato, per quello che Frank Sinatra aveva il groove, se canti sulla griglia sei morto…di solito funziona così, io uso il coro sul basso lei usa il retarder.
30 anni di carriera sono tanti, immagino abbiate, com’ è normale che sia, incontrato alti e bassi, non mi riferisco tanto a quello che può essere un saliscendi in termini di riscontro di pubblico, piuttosto al deteriorarsi dei rapporti umani, per durare così, oltre alla stima e al rispetto, deduco ci sia un modus operandi, o sbaglio?
Io e Flavio eravamo compagni di banco in prima liceo, noi abbiamo iniziato a suonare molto presto, in una sala prove insieme ad altri ragazzi e abbiamo messo su il nostro primo gruppo, io suonavo il basso, Flavio cantava e da lì abbiamo iniziato a suonare assieme. Abbiamo fatto musica da sempre e da subito e oggettivamente come in tutte le coppie, ci sono stati momenti alti, momenti bassi, momenti in cui ci siamo confrontati, esattamente come in ogni sodalizio umano.
Questa è la norma. Rispetto a una coppia in cui si litiga per il quotidiano, in cui magari ci sono delle cose che non vanno bene e che poi alla lunga minano quel rapporto, noi invece conosciamo bene i difetti dell’altro e non avendo una vita privata ma una vita professionale in comune, queste cose abbiamo sempre saputo usarle. Io so che Flavio è fatto in un certo modo e Flavio sa che io sono fatto in un certo modo e quindi ci compensiamo, abbiamo questa grande fortuna di compensarci e troviamo sempre un punto di equilibrio nei nostri vuoti e limiti, questa cosa è sempre stata la nostra fortuna.
Cosa vi aspettate dal ritorno live, ci saranno sicuramente i fan di un tempo, ma lo streaming ha portato in dote un rimescolamento delle carte da gioco, non si esclude anche la presenza di giovanissimi, che magari ai tempi del debutto non erano neanche nati, come vi rapportate con quella che è la nuova vita musicale dal punto di vista prettamente della fruizione.
Non ci aspettiamo niente, nel senso che non partiamo con delle aspettative rispetto ai live, quello che abbiamo notato è che ci scrivono sui social, adesso che è uscito il singolo, un sacco di persone nuove.
Alle persone che scrivevano in maniera costante se ne sono aggiunte delle nuove quindi non so dirti se siano giovani o meno giovani, ma di sicuro c’è gente nuova. Noi ci siamo messi a suonare a fare questo disco perchè avevamo voglia di farlo, ed è l’unico motivo a prescindere, non ce ne fregava un cazzo di fare un disco per il bisogno di visibilità, è nato dalle esigenze: avevamo qualcosa da dire e ci piace dirlo in musica, perchè è l’unico modo di farlo ed è quello che magari ci riesce meglio, e lo facciamo così, poi quello che verrà “boh” non lo sappiamo.
Sicuramente siamo consapevoli che quando sono usciti “Un’estate fa” e “Se telefonando” il mondo era diverso e avevamo anche noi, come dire, una visione della musica differente, oggi siamo cresciuti e abbiamo un’attitudine differente rispetto ad allora, quindi non so chi verrà ai nostri concerti. Mi auguro che ci sia un po’ di tutto e che comunque il ricambio generazionale boh..non lo so, te lo dirò dopo le prime…per noi poi ‘TikTok’ è il timer della bomba…noi l’unica cosa che usiamo sono i TicTac. (Risate)
Ovviamente è impossibile non soffermarsi su quei 30 anni che ci ricorda la cartella stampa. nel 1995 i Delta V firmavano il loro primo contratto discografico. Facile dire come in 30 anni le cose siano cambiate. Mi chiedo però se vi ricordate le sensazioni e le emozioni che provavate in quel momento, magari vi è rimasto impresso qualcosa e, magari, qualcosa che speravate allora in 30 anni si è pure avverato, o sbaglio?
Guarda servirebbe dell’ipnosi regressiva, che, in questo momento, non riesco a farmi fare…però che ti devo dire…io non mi ricordo un cazzo…è stata una soddisfazione molto grande decidere qualcosa, perchè quello che è successo a noi è, oggettivamente, molto bello, ovvero aver potuto fare ciò che volevamo fare, tanti altri gruppi dei nostri tempi non se lo sono potuto permettere.
Per scelta personale, abbiamo rinunciato ad alcune cose.
Era il momento in cui la musica live aveva ramificazioni in posti piccoli, medio piccoli, medi e tu riuscivi a suonare spesso e volentieri, una marea di quei club lì hanno chiuso purtroppo, questa è la differenza. Oggi senti la musica di un altro, che pensa di averla fatta lui, perchè comunque non si accorge che usano tutti lo stesso preset. Noi abbiamo fatto il primo disco, uscito nel gennaio del 98, e oggettivamente non c’era stata quella rivoluzione digitale che poi da Napster a Spotify ha cambiato tutto il mercato. Noi siamo sempre stati un gruppo digitale come strumentazione, ma siamo in realtà fortemente analogici, questa differenza rispetto ai nativi digitali è eclatante.
L’elettronica, usata nelle sue svariate forme e nelle sue diverse suggestioni è sempre stata presente nella musica dei Delta V, forse non è sbagliato dire che è stata l’elemento cardine attraverso cui filtrare tutta la vostra musica. Ricordo bene però che avete sempre definito “Heimat” come album di svolta, mi chiedevo quindi quanto quel disco ha mutato il vostro approccio nei confronti dell’uso dell’elettronica stessa…
Siamo sempre stati elettronici come dicevamo prima, nel senso che noi abbiamo usato i synth non come Sandy Marton “a tracolla”, però, diciamo che, metaforicamente, abbiamo messo da parte le chitarre che hanno fatto parte del nostro immaginario giovanile, dei nostri primi gruppi e abbiamo lavorato molto di più con un i synth, e con “Heimat”, abbiamo proseguito quel discorso anche se, chiaramente, essendo passati tanti anni dall’album precedente, praticamente undici, è cambiata la tecnologia e quindi è cambiato anche il nostro approccio, no Flavio?
Di sicuro come erano fatti i suoni prima, i vecchi campionatori ti costringevano a pensare in una maniera diversa, l’elettronica è molto libera poi sai parlare di elettronica tante volte può essere riduttivo…è un discorso lunghissimo e complicatissimo però, sì abbiamo sperimentato così tante cose, dagli anni novanta a oggi, che non ti so dire quante volte abbiamo cambiato.
Usiamo un po’ di tutto. Dal vivo abbiamo una Novation (tastiera) con i tasti però, abbiamo anche dei virtual instruments, c’è veramente un po’ di tutto, è una sorta di compromesso. Siamo sempre stati bravi ad usare quello che avevamo sotto mano, non abbiamo mai cercato cose strane, a volte facevamo gli echi allungandoli, cioè facendo girare il nastro più veloce, poi rallentandolo…per dirti che abbiamo fatto realmente qualsiasi cosa, quindi, per concludere, il metodo perfetto e lo strumento perfetto, di fatto, non esistono.
Chi l’avrebbe mai detto che quella “Io sto bene” dei CCCP che voi avete fatto nel 2019 ora sarebbe stata cantata di nuovo dai CCCP…ve lo sareste mai aspettato?
Lo speravamo…se hanno deciso di ritornare hanno i loro buoni motivi, noi siamo fan e quindi andremo a vederli anche quest’estate live, tra l’altro il nostro batterista (Simone Filippi, ndr) suona anche con i CCCP.
Tra l’altro, guarda, l’intervista la stiamo facendo seduti fuori, e davanti a noi c’è il Cerreto e se stringiamo gli occhi, vediamo anche Ferretti, più di così..
Intervento di Simone Filippi (Ex Ustmamò e attuale batterista sia dei Delta V, sia, appunto come detto poc’anzi, del ritrovati CCCP Fedeli alla linea.): Non me l’aspettavo, prima che accadesse, non me l’aspettavo sicuramente, ma quando la cosa ha iniziato a costruirsi, ho capito che aveva senso, e siamo tornati a fare i CCCP in maniera filologica
In 30 anni di carriera sicuramente ci sono state tante band che avete avuto “al vostro fianco”, con cui magari avete pure suonato insieme e che sono tutt’ora attive, ma altre che, ahimè, non ci sono più. Avete qualche band italiana che vi dispiace molto non vedete più in attività?
Tanti sono in attività ancora adesso, i Casino Royale (il più bel disco degli anni novanta “Sempre più vicino”) sono ancora in giro (freschi di nuovo progetto proprio in questi giorni, ndr), gli unici che veramente mi dispiace sono gli Scisma che non ci sono più per ovvi motivi, ed è una cosa abbastanza triste, poi tutti gli altri, più o meno, sono ancora vivi, tipo La Sintesi o i Soerba, che fanno ancora cose.
Il 25 aprile è passato da poco e non può non venire in mente il vostro contributo, datato 2018, a “Gli Ultimi”, documentario diretto dal regista Lorenzo D’Orazio. Come ricordate quell’esperienza? Pensate che potrete tornare a musicare qualcosa di visivo?
Allora, guarda, è stata un’esperienza incredibile, mi fa anche tenerezza parlarne, perché molte delle persone che abbiamo intervistato, oggi non ci sono più. Sono passati pochi anni, ma, nel frattempo, gli ultimi se ne stanno andando, quindi, ovviamente, ce ne sono sempre di meno, sono delle perle rare.
Non escludiamo di fare altro in futuro, anche perché abbiamo del materiale inedito, che abbiamo conservato. Ci manca un attimo il tempo, in questo momento, per concentrarci, ma ci torneremo sicuramente.
Grazie della pazienza ragazzi, buone prove e buon tour!
