
Alcuni giorni fa i concerti previsti a Londra e Bristol di Johnny Greenwood insieme al’artista israeliano Dudu Tassa, sono stati cancellati in seguito alle proteste del BDS (Boycott, Divestment and Sanctions), movimento non violento pro Palestina che promuove boicottaggio e sanzioni economiche nei confronti di Israele che da tempo accusa il chitarrista dei Radiohead di “artwashing genocide” o meglio di essersi esibito più volte in passato a Tel Aviv nonostante le continue azioni militari dell’esercito israeliano contro il popolo palestinese.
Dopo giorni di silenzio adesso, in un comunicato congiunto, i due artisti commentano l’annullamento dei loro concerti sottolineando una disparità di trattamento ricevuto rispetto ai Kneecap collettivo hip-hop irlandese che recentemente dal palco del Coachella aveva fortemente espresso solidarità al popolo palestinese e che, sempre secondo Greenwood e Tassa, sarebbero più tutelati nell’esprimere le loro opinioni.
Con rammarico, i nostri concerti a Bristol e Londra, previsti per il 23 e il 2 giugno, sono stati cancellati. I locali e il loro personale incolpevole hanno ricevuto minacce abbastanza credibili da decidere che non è sicuro procedere; non ci si può aspettare che i promoter degli spettacoli finanzino la nostra protezione, o quella del nostro pubblico.
Il disco che stiamo portando in tour vede la partecipazione di cantanti provenienti da Siria, Libano, Kuwait e Iraq. Le radici culturali e musicali del gruppo sono secolari e si trovano in Iraq, Yemen, Siria, Turchia e in tutto il Medio Oriente: ognuno dei membri è unito da un amore comune per la canzone araba, indipendentemente da dove siano nati. La campagna di silenziamento ha chiesto alle venue di “riaffermare il loro impegno per una programmazione culturale etica e inclusiva”. Ma non questo particolare mix di culture, a quanto pare.
Crediamo che l’arte esista al di sopra e al di là della politica, che l’arte che cerca di stabilire un’identità comune oltre i confini del Medio Oriente debba essere incoraggiata, non condannata, e che gli artisti debbano essere liberi di esprimersi a prescindere dalla loro cittadinanza o religione, e certamente a prescindere dalle decisioni prese dai loro governi.
Questo progetto ha sempre avuto un canale difficile e angusto da navigare. Ci troviamo nella strana posizione di essere condannati da entrambe le estremità dello spettro politico.
Per alcuni a destra, stiamo suonando il tipo di musica “sbagliato”: troppo inclusivo, troppo consapevole della ricca e meravigliosa diversità della cultura mediorientale. Per alcuni a sinistra, lo stiamo suonando solo per assolverci dai nostri canti collettivi. Temiamo che questa cancellazione venga strumentalizzata da figure reazionarie tanto quanto deploriamo la celebrazione da parte di alcuni progressisti.
Eppure, accettare docilmente di essere messi a tacere senza alcuna risposta sembra sbagliato. Come dice la dichiarazione dell’artista a sostegno di Kneecap: “Come artisti, sentiamo il bisogno di dichiarare la nostra opposizione a qualsiasi repressione politica della libertà artistica… In una democrazia, nessuna figura politica o partito politico dovrebbe avere il potere di dettare chi suona o non suona a festival musicali o concerti che saranno apprezzati da migliaia di persone”. Né dovrebbe averne nessuno. Non abbiamo alcun giudizio da esprimere su Kneecap, ma notiamo quanto sia triste che coloro che sostengono la loro libertà di espressione siano gli stessi più determinati a limitare la nostra.
Siamo completamente d’accordo con chi chiede: “come può questo essere più importante di quello che sta succedendo a Gaza e in Israele?” Hanno ragione: non lo è. Come potrebbe esserlo? Cosa lo è, nella futura vita culturale di chiunque?
Proviamo grande ammirazione, amore e rispetto per tutti gli artisti di questa band, in particolare per i musicisti e i cantanti arabi che hanno dimostrato un coraggio e una convinzione straordinari nel contribuire al nostro primo disco e nel fare tournée con noi. I loro successi artistici sono di fondamentale importanza e speriamo che un giorno possiate ascoltarci eseguire queste canzoni – soprattutto canzoni d’amore – insieme a noi, da qualche parte, in qualche modo. Se ciò accadrà, non sarà una vittoria per nessun paese, religione o causa politica. Sarà una vittoria per il nostro amore e rispetto condivisi per la musica – e per noi stessi.
Jonny Greenwood, Dudu Tassa e i musicisti