Quando ti trovi a pochi passi dalla morte le prospettive cambiano. Cambiano completamente. Lo leggiamo spesso, credo ne siamo ben consapevoli anche noi e questo è quanto è successo a Louis Eliot in quella vacanza spagnola di un po’ di anni fa. Sta di fatto che quell’esperienza lo ha segnato profondamente e da lì è arrivato l’input di ripartire con il progetto Rialto, accantonato ormai da lunghissimo tempo, diciamo 2001, con l’uscita del secondo album “Night On Earth”.
Ascoltando questo disco ho ripensato a Paul Newman ne “Il Colore Dei Soldi”: il vecchio giocatore che ritorna in pista. Il vecchio giocatore che guarda al suo grande passato ma non ne resta schiaccitao, perchè sa, seppur a fatica, adeguarsi al presente, un presente in cui i tavoli da bigliardo gli sembrano più bassi e in cui le regole e i dettami sono cambiati. Lui deve riprendere il ritmo, ma poi eccolo lì, nel finale, pronto a “spaccare” con tutta la sua nuova consapevolezza.

Louis Eliot è così. In questi anni di lavoro dietro alle quinte, come turnista, ha gustato poco le luci della ribalta, ma ha potuto arricchiere il suo stile e il suo approccio, ecco che così, a quel taglio melodrammatico e suggestivo che ha sempre contraddistinto i Rialto, in questa nuova, pregevole, fatica emergono ritmi disco, andamenti più minimali, bagliori luccicanti che evocano gli anni ’70, filtrati da una conoscenza della materia pop sempre di altissimo livello: i Rialto sono mutevoli, sapendo rassicurare i vecchi fan e sorridendo sagaci anche a chi non li conosceva.
Se c’è da godere ogni momento, beh, il buon Louis lo fa in pieno e già con i primi due brani ci avverte che gli estremi possono anche essere abbastanza lontani e sorprendenti. Per una partenza tutta da ballare come “No One Leaves the Discotheque Alive”, che pare evocare una Kylie Minogue dal taglio agrodolce e ombroso si passa a “I Want You” dalla ritmica quasi Muse e chitarre lancinanti. In due brani Louis ci avverte, ci dice di stare attenti e non iniziare subito con i confronti al passato: lui è pronto a (ri)godersi il presente a modo suo.
Taglio notturno, synth e ritornello avvolgente, quasi struggente, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio, nella title track (magnifica), ma tranquilli, perché viene accontentato anche chi ha voglia di leggerezza, con una “Taking The Edge Off Me” che sembra uscire dalla penna di un Neil Hannon in vena di regalarci caramelline dolcissime e irresistibili e, per chi non vedeva l’ora di ritrovare i “cari e vecchi” Rialto, beh, “Remembering To Forget”, ballata d’alta scuola anni ’60, è fatta apposta per voi. Ma quella vecchia volpe di Louis tiene pronto il colpo da ’90 subito dopo che ci ha fatto muovere con lo stomp “Car That Never Comes”, illudendoci che il ritmo sia tornato alto, no, tutt’altro. “Sandpaper Kisses” è roba che potrebbe arrivare da un Richard Hawley ispiratissimo e a noi non resta che cercare nelle tasche il nostro fazzoletto, prima che le lacrime e gli occhi rossi abbiano il sopravvento.
Parlavo prima di anni ’70, ed eccoli qui in “Cherry”, con quel mood circolare e funkeggiante e i synth pesanti, mentre “Put You On Hold” pare quasi evocare gli ABBA. Due brani che, a dirla tutta non mi fanno impazzire. “Gone” è chiusura quasi dimessa, in odore di dream-pop o comunque di abbandono onirico e forse si poteva osare un po’ di più nella coda finale. Ma va bene così. Eliot è tornato, in pace con sè stesso: i fantasmi del passato non lo tormentano, ma questo stesso passato può essere gestito al meglio per far brillare (al neon ovviamente) il presente.