Credit: Dann Bruell (CC BY-NC-SA 2.0)

All’inizio di maggio, via New West Records, Esther Rose ha pubblicato il suo quinto LP, “Want“, ed è ora in Europa a presentarlo: come racconterà la stessa musicista ora di stanza a Santa Fe durante la serata questo tour le ha permesso di andare in paesi in cui non era mai andata come la Norvegia e la Svezia, ma allo stesso tempo è molto innamorata della venue dove suonerà oggi, ovvero il sempre piacevolissimo Lexington di Londra, dove la statunitense si è già esibita alcune volte.

Il disco, prodotto da Ross Farbe dei Video Age, arriva dopo che Esther ha smesso di bere ed è stata in terapia e, se da una parte è sicuramente sofferente, sul verso strumentale, invece, ha trovato nuovi spunti più intensi e indie-rock.

Oggi Esther, che sale sul palco della venue di Pentoville Road quando sono passate da pochi attimi le nove, invece, è da sola e sicuramente la sua musica potrà godere dell’intimità che la sala dello storico locale del nord di Londra riesce sempre a conferire.

Sebbene la setlist sia giustamente incentrata sul suo nuovo lavoro, è una doppietta dal suo debutto sulla lunga distanza, “This Time Last Night” (2017), a iniziare la serata: “Wanton Day Of Loving”, che apriva anche quel disco, è pura delicatezza ed è una gioia tale che porta anche il pubblico a cantare insieme a Esther. Certo bisogna considerare che la strumentazione è composta dalla sola chitarra acustica della musicista statunitense e quindi non c’è quella atmosfera rustica contry-folk della sua versione originale, ma la bellezza e le melodie rimangono pure e intatte. Anche la successiva “Jump Down Baby” dimostra le doti vocali della Rose, che riesce a incitare il pubblico londinese, facendo partire il primo handclapping della serata.

Gli assaggi da “Want” iniziano poco dopo e il primo è “Tailspin”, il principale singolo dell’album, che su disco vede la partecipazione dei Video Age: oggi ascoltiamo una versione molto raccolta ed emozionante che approfitta giustamente dell’intimità che la non enorme sala del Lexington riesce a creare.

È poi la volta di “Ketamine” che, se da una parte perde le sue ruggenti chitarre alt-rock dai sapori ’90s, dall’altra ne guadagna in sincerità, purezza, gentilezza e poesia.

Poco dopo ecco “Had To”: “parla del mio rapporto con l’alcol“, spiega Esther. Sebbene non incisiva e veloce come su disco, la canzone è comunque piena di passione e lascia anche trasparire il dolore della statunitense.

In “Scars” ovviamente non ci sono le armonie insieme a Dean Johnson, ma la sua bellezza folk rimane intatta così come la sua malinconia e la sua delicatezza, che suscitano assoluta tenerezza.

“Rescue You”, invece, ha un ritmo più incalzante e una certa vivacità che ancora non avevamo potuto ammirare stasera, mentre “Want”, title-track del suo album piu’ recente, chiude il mainset con dolcezza e tanta passione, graziata come è di una splendida melodia.

C’è spazio anche per un breve encore in cui Esther propone “Want Pt. 2”, al suo debutto live stasera, lasciando passare tutta quella gentilezza e quella delicatezza che le sono tipiche.

Circa settanta minuti di sensazioni pure e intime all’interno di una venue raccolta: se da un lato non abbiamo potuto ascoltare le nuove influenze indie-rock del suo nuovo LP, dall’altro questa versione acustica di Esther ha messo il suo cuore in primo piano, regalando ottime melodie ed emozioni intense, sia dolci che malinconiche, lasciando comunque spazio per brillare anche alle sue grandi doti vocali.