C’è un momento, nelle notti urbane, in cui il rumore del traffico si mischia al fruscio dei nostri pensieri, in cui le finestre illuminate sembrano occhi vigili ed ostili sulle nostre insonnie e ogni scelta — anche quella, apparentemente, più insignificante — lascia un retrogusto amaro che torna a galla con veemente ostinazione. “The Uncanny Extravaganza”, il nuovo lavoro della band veneziana dei New Candys, sembra essere proprio lì, sospeso tra l’incertezza e la resa, tra il desiderio di liberarsi e la paura di farlo davvero.

È un disco che si muove tra i paradossi quotidiani del nostro atroce ed indolente presente, con la naturalezza di chi ha imparato a conviverci, trasformando il caos metropolitano, le distanze incolmabili tra i nostri corpi e le nostre coscienze, i rimorsi sepolti e le emozioni taciute, in materia sonora pulsante, viva e preziosa. Le trame neo-psichedeliche si scontrano e, contemporaneamente, dialogano con grovigli elettronici più oscuri e con i beat sintetici che scandiscono il tempo di quella che è una confessione collettiva mai veramente pronunciata. Ogni brano è una piccola frattura, una fenditura luminosa e anche oscura nella quale sprofondare.
Ci si muove, così, da episodi più rabbiosi ed incisivi — “Regicide” e “Crime Wave” sono incalzanti sfoghi sonori contro i sistemi di controllo emotivo e sociale che scandagliano le nostre vite — a passaggi più introspettivi e rarefatti — “Aquawish” e “Final Mission” hanno il sapore delicato di ricordi lontani e di nostalgie avvolgenti. La band riesce, senza forzature, a cucire insieme ambientazioni diversissime, atmosfere cinematiche e derive dream-pop, creando un album stratificato e profondamente onesto. In questo labirinto sonoro e sentimentale, viene spontaneo pensare a creature come Paul Celan, capace di tenere assieme, nella stessa pagina, la tenerezza più pura e l’orrore più indicibile, il gesto d’amore e la terribile condanna. “The Uncanny Extravaganza” lavora su una linea concettuale e sentimentale simile: restituisce la vertigine di convivere con emozioni apparentemente inconciliabili, di oscillare tra il desiderio di consolazione e il bisogno di essere feriti ancora, per sentirsi vivi.
È un disco che non cerca di offrire soluzioni facili ed immediate, ma che riesce a sottrarre, per un attimo, le nostre giornate al dominio maniacale del controllo, restituendole ad una dimensione emotiva più primitiva, affascinante e conturbante, veritiera ed entusiasmante. La sua forza sta proprio in questa capacità di essere, contemporaneamente, carezza e pugno, abisso e via di fuga.