Decimo album, trent’anni di esperienza tra studio e palchi, gli Idlewild tornano con una nuova produzione homemade e self-title che delinea un percorso partito da lontano. Registrato presso il Post Electric Studio di Edimburgo, il chitarrista e produttore Rod Jones, insieme alla band, presentano il loro attuale punto di vista musicale dopo essersi affermati tra la fine degli ’90 e gli inizi dei duemila con un sound a tratti più americano che cool britannia e la loro crescita come uomini in primis, e come band poi, non lascerà delusi i fan.

Lungo la strada hanno amplificato e dosato le distorsioni, le dissonanze e la frenesia degli inizi che li ha sempre avvicinati più all’alt-rock americano – a tratti garage-pop-punk di fine ed inizio millennio – che ad un sound inglese pregno di (post)britpop. Oggi gli Idlewild regalano atmosfere più alt-pop che rock, in cui però si riconoscono tesori apprezzabili e riconducibili al DNA della band. Dei singoli pubblicati ne abbiamo già parlato qui su Indie For Bunnies e chi ben inizia è a metà dell’opera.
“Stay Out Of Place” apre il disco come se la band avesse già iniziato la registrazione e il tasto rec fosse stato spinto solo in un secondo momento. Non è insolito per loro e questo dà subito la giusta carica per affrontare il resto dell’opera. “Like I Had before” ha una linea di basso intrigante e coinvolgente, le sonorità sono tra gli Strokes e i The Killers, ma se con “It’s Not The First Time”, “(I Can’t Help) Back Then You Found Me” e “The Mirror Still” i ritmi seguono più calmi, sommessi, pacati, con “Make It Happen” torniamo a sentire le chitarre ed una timida sfrontatezza melodica e lirica.
“I Wish I Wrote It Down” ricorda un pop-rock che un po’ manca nelle radio di oggi, ritornello e giro armonico catchy, cantabile, leggerezza espressiva ma coinvolgente, scottish tanto quanto i Travis che fanno sempre la loro figura in FM. “Permanent Colours” è il brano che mi è piaciuto di più, basso e chitarra un po’ Smiths un po’ The Cure, la voce di Roddy Woomble graffia sofferente senza sbiadire in tonalità più scure e nel complesso è un pezzo ben riuscito. “Writers Of The Present Time” si confà allo stile più armonioso dell’intero album, mai eccessivo, brani stop&go utili nei live per ingraziarsi anche il pubblico che li vorrebbe più strong. “End With Sunrise” chiude in maniera dignitosa un ritorno di un gruppo che ha segnato tre decadi e che se ha detto molto ha ancora qualcosa da dire.
La forza di “Idlewild” si racchiude nella compattezza di una band che, seppur con qualche cambio di lineup, ha attraversato ogni volta un mondo interno ed esterno diverso, mutato, complesso, rovesciato. Il suono iniziale dell’album si attenua, ma non perde mai di intensità e coraggio e ad oggi gli Idlewild si fanno trovare qui, in una veste diversa sì, ma comunque presenti e questo è onorevole quanto di doverosa riconoscenza.
P.S. L’artwork della copertina è una fotografia di Roddy Woomble, che aveva già utilizzato una sua foto per l’album “Hope Is Important“ e per “Idlewild” è tornato nello stesso esatto punto di quella foto, ma con l’obiettivo dall’altra parte; e se prima c’erano due suoi amici che scrutavano i resti di un piccolo relitto sulla spiaggia in seppia, ora nella foto c’è suo figlio che guarda altrove in una cornice di colori e speranza con un albero che suggerisce radici e continuità.













