
Emotività, dolore ed energia: sono queste le cose principali che Lorenzo Pagni, in arte Pugni, spera di trasmettere con i suoi concerti; “Quello che cerco di fare con la mia musica è entrare dentro le persone, tirare fuori quelle parti che spesso non vengono messe in gioco nella quotidianità. Mi piace toccare anche emozioni un po’ dolenti, o far ridere proprio attraverso quelle”, racconta. A un anno dallo splendido album d’esordio “Tuffo”, abbiamo avuto il piacere di farci una chiacchierata, per poi vederlo dal vivo all’Off Topic di Torino, e lasciatevelo dire: ha mantenuto ogni promessa.
Dopo un’apertura molto intima con Martina Ravetta, giovane cantautrice torinese che ha proposto brani intimi alternati a un mash up tra Calcutta e Maria Antonietta, ecco salire sul palco la star della serata, in tutto il suo furore – perché sì, non c’è altro modo di descrivere l’artista che è Pugni. Accompagnato da una chitarra e una band di tutto punto su cui spicca Clarissa Marino (al violoncello), parte un tripudio di energia e vivacità che fa tremare di gioia un posto piccolo ma strapieno come l’Off Topic; Pagni dà il suo massimo da subito, tanto che pare nel suo habitat naturale, si lascia travolgere e travolge con sé gli spettatori, tra vulnerabilità e potenza – che, per lui, sono praticamente sinonimi. Racconta: “Mi piace la musica in cui l’artista si mette a nudo, parla di ciò che sente davvero. Non mi interessano le frasi fatte o i temi scelti solo perché ‘funzionano’. Mi piacciono i cantautori che si emozionano mentre suonano, quelli che sul palco sono sul limite delle lacrime. Quell’intensità mi spacca in due, e provo a ispirarmi a quella trasparenza emotiva. La vulnerabilità è un punto di forza”.
Si parla di vulnerabilità, di salute mentale (in modo serio, non performativo come spesso si usa sui social): anche mentre canta, Pugni si batte apertamente per quelli che la società definisce “matti”, gli invisibili separati dalla società che non hanno voce; anche le loro voci, quella sera, sono presenti. È un concerto potente quello di Pugni, ma anche divertente, con un’ottima performance e un accompagnamento degno di nota: oltre a Marino, fioccano nella band Samuel Napoli, Luca de Maria, Remo Ascani e Nicola Meloni. Tutti uniti, pochi brani a parte, per dare vita a uno spettacolo memorabile. Si sente benissimo che sul palco viene portata la “passione viscerale toscana” che il cantante porta con sé da Pisa, unita a quella che lui chiama “consapevolezza professionale torinese”, che gli ha permesso di trovare il mezzo per comunicare il proprio messaggio in modo più chiaro.
Tra gli ospiti figura un personaggio ormai ben noto a Torino (e non solo), Willie Peyote, che sale insieme a Daniele Branzini per cantare “Tua madre”, brano eseguito in acustico anche al Jazz RE:Found. Non poche le persone commosse, in un momento che scalda il cuore ma è anche decisamente terapeutico; dopotutto, come ci racconta l’artista (e come canta in “Falco Ubriaco”), forse è vero che i sentimenti possono essere una forma di cura.
Altra grande sorpresa della serata è la presentazione dell’inedito “Mazzo di aghi”, accolto in maniera decisamente calorosa dal pubblico: pensare che ci siano ancora persone che si emozionano così tanto, e artisti che fanno altrettanto emozionare, scalda a dir poco il cuore. Il progetto di Pugni è qualcosa di analogico, reale, in controtendenza rispetto all’iper-digitalizzazione, e soprattutto contro il più sempre dilagante rischio rappresentato dall’intelligenza artificiale.
Una tecnologia che spaventa, che se usata male, può essere devastante perché dà la possibilità di fare musica anche a chi non la ama, solo per far emergere il proprio ego. Il cantautore racconta:”L’arte nasce da un’urgenza umana, da qualcosa di viscerale. Se la togli all’uomo e la affidi a una macchina, perde il senso. Un conto è usare strumenti digitali o plug-in, un altro è chiedere a un algoritmo ‘fammi un pezzo alla Tiziano Ferro con un po’ di James Brown‘: ti restituisce qualcosa di credibile, ma senz’anima. E senza anima l’arte perde la sua ragione d’essere. È l’espressione più pura e cruda dell’essere umano. Io spero davvero che l’IA non prenda il sopravvento su questo.” Ma noi siamo fiduciosi, perché finché esisteranno cantautori che sanno essere una forza della natura di questo tipo (e soprattutto, che la musica la amano davvero) ci sarà speranza.







