Ci sono artisti e band che passano alla storia per i più svariati motivi, lasciando (indipendentemente poi dall’evolversi del proprio percorso) una traccia tangibile al loro passaggio.

Siamo abituati, da lettori a imbatterci in termini quali one hit wonder e anche il sottoscritto, in qualità  di autore e recensore, si è occupato di fenomeni simili, per forza di cose effimeri: sono quei personaggi che riescono a imporre un solo brano capace di fissarsi nell’immaginario collettivo, senza poi riuscire a replicare in futuro un identico  exploit.

Il caso del gruppo in oggetto, però, è diverso, perchè gli Hootie & The Blowfish, americani formatisi nella Carolina del Sud al tramonto degli anni ottanta, e capitanati dal cantante e chitarrista (nonchè principale compositore) Darius Rucker, più che essere accreditati come fautori di meravigliose hits (per quanto nel loro catalogo non ne mancassero, pensiamo a “Let Her Cry”), fecero un autentico botto con l’album intero, proprio ai tempi dell’esordio.

Era il 1994 quando fecero irruzione nei piani altissimi delle charts americane con “Cracked Rear View”, disco di solido (quanto inconsapevole) classic rock, o adult alternative rock (un tempo definito AOR), insomma quel tipo di sonorità  che riesce clamorosamente a mettere d’accordo tutti negli USA, grazie a liriche e musiche al più rassicuranti, melodie giuste e un forte richiamo ai buoni valori del Nuovo Continente.

Il tutto, meglio rimarcarlo, comprendente delle ottime canzoni, in un periodo in cui l’eco del grunge (o di quello posticcio che ne rimaneva) era ancora forte in lontananza; nulla però che potesse impedire ai Nostri di issarsi presto in testa alla classifica di Billboard per lasciarla solo dopo lunghi mesi.

Alla fine le vendite si attestarono sui 15 milioni di copie, poi diventati 16 nel corso degli anni, quasi tutti però circoscritti ai soli Stati Uniti d’America, giacchè questo bizzarro nome non riuscì proprio a fare breccia oltre Oltreoceano.

Era tuttavia impossibile non leggerlo scorrendo appunto le classifiche – io poi sono un patito di certe cose – e quindi un po’ alla volta, pur essendo sintonizzato su altre onde, ma non navigando nemmeno poi così al largo – volli saperne di più in un periodo storico in cui Mtv la faceva da padrone e i loro video non li trasmetteva mai, almeno da noi.

A conti fatti, il loro debut – album fu il più venduto di tutto il 1995, quindi pensate a quanto poteva essersi fatta grande l’attesa e la curiosità  riguardo il suo successore che sarebbe arrivato da lì a poco.

Quel fratello minore rispondeva al nome di “Fairweather Johnson” e, pubblicato esattamente venticinque anni fa, il 23 aprile del 1996, poco dopo essersi aggiudicato in modo assolutamente meritato il Grammy Award come “Best New Artist”, deluse immancabilmente le aspettative.

D’altronde era realisticamente difficile replicare un tale successo e, così, nonostante 4 milioni di copie vendute corrispondessero a un bottino di tutto rispetto, il disco in questione fu considerato all’unanimità  un assoluto flop.

Eppure occorre rendere gli onori a una band che ha avuto soltanto la colpa di rimanere fedele a se stessa, non volendo reinventarsi con un vestito nuovo, che evidentemente non sarebbe calzato a pennello.

Gli Hootie & The Blowfish sono invero assai credibili ed efficaci quando intonano i loro brani soft rock, è quella la loro cifra stilistica, sono degli average men in possesso però di un grande potenziale (espresso appieno nel disco precedente) qui rimasto forse sullo sfondo.

L’impressione riascoltando alcune tracce è che in realtà  ci fosse in Rucker la volontà  e il desiderio di osare di più, mettendosi a nudo e mostrando i muscoli, qualche ruvidezza in più e in genere concedendo poco al ritornello a effetto.

L’intro affidata a “Be the One” è ad esempio un ottimo biglietto da visita, col suo canto appassionato, carico di pathos e profondità  e un sound spigoloso il giusto, e la sua parte la fa egregiamente anche la successiva traccia “Sad Caper”, più melodica e dove gli intrecci vocali tra il leader afro-americano e gli altri componenti (il chitarrista e pianista Mark Bryan, il bassista Dean Felber e il batterista Jim “Soni” Sonefeld) rendono al meglio.

E’ poi la volta della nostalgica “Tucker’s Town”, che uscirà  come secondo singolo, infarcita di caldi suoni acustici, a chiudere un trittico portatore di buone suggestioni e speranze.

Le promesse vengono in parte disattese con una “She Crawls Away” un po’ leggerina nei suoi toni country: si tratta di un piccolo passo falso, cui fa seguito la pomposa “So Strange”, impreziosita se non altro da una buonissima performance vocale di Rucker.

Toccherà  alla classica “Old Man & Me” (singolo di lancio del lavoro) rimettere in carreggiata la macchina, divenendo presto uno degli episodi più amati della loro carriera.

Il resto della scaletta non si può definire brutto ma di certo non regalerà  più grossi acuti, per quanto si facciano apprezzare la morbida ed evocativa ballad “Earth Stopped Cold at Dawn”, dove spiccano le armonie vocali di Nanci Griffith e un arrangiamento che comprende la magnifica viola di Lili Haydn, la spirituale “Honeyscrew” e la pimpante “Let It Breathe”, che potrebbe essere uscita dalla penna dei Counting Crows, nome che ho aspettato a tirare in ballo ma che spesso e volentieri ho risentito tra le pieghe del disco.

Certo, la band di Adam Duritz è parsa sin dai suoi albori più eclettica e raffinata, ma pure gli Hootie & The Blowfish sono riusciti – a mio avviso meritatamente – a ritagliarsi un posto d’onore nella storia recente della musica a stelle e strisce grazie a dischi di indubbia qualità , onesti e in grado di catturare ciò di cui musicalmente aveva bisogno in quel momento una buona fetta della popolazione.

Data di pubblicazione:  23 aprile 1996
Tracce: 14
Lunghezza: 49:20
Etichetta: Atlantic Records
Produttore: Don Gehman

Tracklist
1. Be the One
2. Sad Caper
3. Tucker’s Town
4. She Crawls Away
5. So Strange
6. Old Man & Me (When I Get to Heaven)
7. Earth Stopped Cold at Dawn
8. Fairweather Johnson
9. Honeyscrew
10. Let It Breathe
11. Silly Little Pop Song
12. Fool
13. Tootie
14. When I’m Lonely