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Non è stato facile scrivere questo commento.
Prima di tutto, autorevoli recensori (ma italiani, perlopiù) hanno già  bocciato il disco, accusando (riassunto mio) Mr Sean Booth e Mr Rob Brown di aver smesso di esplorare territori sonici per ripetere se stessi: un disco inutile insomma.

Ora, dico io, sono quindici anni (“Incunabula” è del 1993) che Autechre più di ogni altro nella musica elettronica di massa (se così si può chiamare…) continua ad aprire strade nuove e a spingere più lontano le frontiere, cambiando e innovando con intenso rigore da album ad album, tanto da essere anche stati tacciati in passato di volatilità  da un lato, e di essere inutilmente complicati e inaccessibili dall’altro.
Ma chi altri ha così enormemente contribuito a definire i paradigmi di tante aree dell’elettronica, dalla minimal techno alla micro house, dall’acid all’ambient (e la sua figliastra, l’illambient…). Per carità , sono solo etichette, e sappiamo che le etichette sono bit sprecati: ma l’imprescindibilità  del loro lavoro è fuori discussione.
E infatti: chi altri, oggi, sta davvero innovando e muovendo più in là  i confini di questo mondo? Mmh…
Insomma, non ci troverei niente di male se Autechre, al nono album ufficiale, stessero semplicemente sorvegliando il terreno mappato fino ad oggi per poi ripartire alla grande con il prossimo lavoro.
Ma di questo parleremo dopo.

Una seconda considerazione secondo me importante riguarda la particolare fruizione di questo tipo di musica. Diciamolo chiaro, non è la musica che trovereste in un supermercato, tanto per usare eufemismi. Ma cosa spinge we happy few ad amare beats, glitches, bips, rumori bianchi e rosa, battimenti, interferenze, frequenze e armonici, qualche nota riconoscibile qua e là ? A trovare senso estetico e piacere in quello che la maggior parte là  fuori percepirebbe solo come rumore fastidioso?
Per quel che mi riguarda personalmente, risponderei: il raggiungimento di stati alterati di coscienza con mezzi legali… E allora sinceramente non me ne può fregare di meno se dopo quindici anni e otto dischi non vengono esplorati nuovi territori: lo spartiacque è: funziona o no?

E allora infilo il cd nell’apposita fessura del mio Mac, indosso le cuffie e inizio il viaggio, sforzandomi di dimenticare chi sono e cosa hanno fatto fino ad oggi gli Autechre e chi c’era prima di loro, e se quel suono sia già  stato usato da qualcun altro (improbabile) o da loro stessi (probabile)…
E togliamoci subito il dente: secondo me funziona.

Funziona perchè “Quaristice” è stato costruito con voluta semplicità , molto spesso con toni e tessiture quasi intimiste–nei limiti di quanto ciò possa accadere in una produzione Booth/Brown. Una parte non indifferente delle 20 (!) tracce sono senza beats, in chiave minore di rarefatta malinconia, vedi ad esempio la prima e le ultime due, che sia per certi toni fuzzy da antico synth analogico sia per certe variazioni microtonali mi hanno addirittura ricordato i migliori Tangerine Dream, quelli di Zeit.
Sembrerebbe quasi che i due siano riusciti a contenere la ricerca continua ed ad ogni costo della sorpresa sonica che caratterizzava i precedenti due lavori.
Ed infatti in una recente intervista Booth e Brown hanno raccontato come abbiano intenzionalmente usato per questa produzione tracce e set-ups normalmente impiegati live: è notorio che i ragazzi hanno un’incredibile simbiosi sul palco, e che il loro lavoro live è molto più ricco di spontaneità , immediatezza e fluidità  rispetto a quello meticoloso e minuzioso della elaborazione in studio. L’intervento sulle tracce live è ampio ma giocato in stretta collaborazione, evitando coscientemente di manipolare all’eccesso i dettagli delle tracce e mantenendo la scioltezza live: hai davvero l’impressione di un intervento manuale in tempo reale su cursori e pulsanti.
Forse è proprio questo tocco live, direi quasi “umano”, che sta costando a Autechre le accuse di scarsa novità …

A me pare che le tracce siano ben equilibrate per varietà  di atmosfere e sensazioni, e l’aver evitato la strafottenza sonica ad ogni costo apre spazi di fruizione meno analitici e “razionali” (nel senso di voler comprendere ed etichettare la presenza di questo o quel blip) e più istintivi, più sognanti. Insomma, si viaggia bene!

Cover Album
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Quaristice [ Warp – 2008 ] – BUY HERE
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