Parlare di un disco che contiene la pietra miliare della psichedelica e la seconda versione più conosciuta al mondo di “Hey Joe” non è facile. E non è stato facile neanche per “Fifth Dimension” (se i dischi avessero un’anima) vivere all’ombra di questi due pezzi, con il rischio di offuscare tutta la bellezza che li circonda. E ce ne è tanta.

“Fifth Dimension” è il terzo album dei Byrds, il primo registrato senza l’uomo che prima componeva principalmente i pezzi della band, Gene Clark. A fare le sue veci, in fase di scrittura, Jim McGuinn e David Crosby. Un disco in un certo senso di transizione, con la band a metà  strada tra la tradizione (“Wild Mountain Thyme”) e il futuro (“Eight Miles High”, “2-4-2 Fox Trot”). Un disco magari considerato “strambo” per i suoi tempi, 1966, ma di certo coraggioso, entusiasta. Balza subito agli occhi l’evoluzione chitarristica di McGuinn, maturato ad un livello di consapevolezza dell’uso dello strumento decisamente superiore rispetto ai tempi di “Mr. Tambourine Man”. Basta sentire “I See You” o la stessa “Eight Miles High”, dove l’influenza di John Coltrane (uno dei preferiti all’epoca del quartetto) si fa sentire in maniera prepotente, anche se indiretta. “Eight Miles High”, oltre ad essere il primo vagito di rock psichedelico ascoltato in musica, è anche il paradigma di una certa voglia di distaccarsi dal modo di adattarsi dei Byrds alla scrittura di Clark: un brano scritto essenzialmente da lui che da standard folk-rock è stato trasmutato in un pezzo ‘free’ con fraseggi raga alla Ravi Shankar. Le ‘influenze’ non sono state chiaramente solo musicali: A song allegedly written on drugs, nelle parole del critico David Fricke (e brano prontamente bannato dalle radio americane per i suoi ammiccamenti all’uso degli stupefacenti). “Fifth Dimension” non è tutto qui, chiaramente. Il viaggio parte con la title track: “5D” (“Fifth Dimension”). Uno dei singoli estratti dal lotto, Van Dyke Parks all’organo, un pezzo che nelle parole di McGuinn è nato dalla lettura del libro “1-2-3-4, More, More, More, More”. Non una hit, ma un ragguaglio di quello che ci aspetta nel viaggio (pre) sonico di “Fifth Dimension”.

Si continua con la tradizione (“Wild Mountain Thyme”) ed il singolo minore “Mr.Spaceman” (curiosità : il manager della band aveva stipulato una polizza assicurativa da 1 milione di dollari in caso i Byrds venissero rapiti dagli alieni). A seguire la già  citata “I See You” ed il primo pezzo composto dal solo Crosby per i Byrds, “What’s Happening?!?!” e nelle sue parole viene descritta così: Dentro pongo delle domande. Solo quello. Ed ogni volta che pongo delle domande McGuinn mi risponde con la chitarra. “I Come And Stand At Every Door” è un ‘mash up’ tra un poema di Nazim Himket e la melodia del tradizionale “Great Selchie Of Shule Skerry”. Non definitiva musicalmente ma la storia dello spirito del bambino ucciso dalla bomba di Hiroshima che vaga per il mondo, incerca di pace, mette i brividi. Subentra quindi la fatidica doppietta: “Eight Miles High” e “Hey Joe”. La seconda, scovata e scelta da Crosby (era una composizione di Billy Roberts), è stata accettata dal resto della band soltanto quando i Love and the Leaves riscossero un discreto successo nel registrarla. Se avessero saputo cosa sarebbe diventata”… Il disco si chiude con la strumentale “Captain Soul” (odore di soul nel sound), la tradizionale John Riley, dove si apprezza ancora una volta il lavoro di McGuinn alla chitarra e “2-4-2 Fox Trot”, dedicata al costruttore di jet John Lear (il sottotitolo è difatti “The Lear Jet Song”) dove a farla da padrone è proprio il suono di un aereo e i dialoghi all’interno della cabina. Molti la presero come scherzo, non Crosby e McGuinn che ritenevano il pezzo come un ottimo tentativo di usare suoni meccanici al posto degli strumenti.

Filologicamente da avere, magari la ristampa con bonus tracks e intervista finale alla band. Tutto (o molto) di ciò che ascoltiamo deve parecchio a queste 11 tracce.

Credit Foto: Joost Evers / Anefo / CC BY-SA 3.0 NL