E’ sempre un piacere per me dare un voto positivo ad un lavoro mal recensito da Pitchfork. E questa volta voglio togliermi questo sfizio con “Behind the Music” degli svedesi The Soundtrack of our life (TSOOL). A guardarli in foto gli TSOOL sono come ogni musicista alternative dovrebbe essere: brutto e scandinavo. Alcuni brevi cenni storici: esordiscono con il loro primo album “Welcome to the Infant Freebase” (da ascoltare!) nel 1996 ed è subito successo: la band vince il disco d’oro ed arrivano i primi soldini. Escono quindi con un secondo album, molto più sperimentale del primo, e come spesso succede non riscuote lo stesso successo del precedente (quanto meno in termini di vendite). Tuttavia la band non si perde d’animo e pubblica, tre anni dopo, un terzo album: per l’appunto, “Behind the Music”, che diventa subito il loro capolavoro. Boom di vendite internazionali e subito dopo nomina per “Best Alternative Music Album” durante la 45esima edizione dei Grammy Award (titolo che sarà  però vinto dai Coldplay con “A Rush of Blood to the Head”).

Ma bando alla ciance, passiamo all’ascolto. L’album si apre con Infra riot, una prima traccia che rende subito conto del suono preponderante dell’album: corposo, con un giusto misto di pop e classico rock con un pieno suono anni ’60. Segue Sister surround che prosegue sullo stesso stile fino ad arrivare alla la terza traccia In someone else mind dove, invece, si iniziano a sentire i suoni psichedelici che troveranno il loro climax in quella che è senza dubbio il capolavoro dell’intero album: “Broken Imaginary Time”. Un suono di una tristezza infinita, una canzone che sembra sospesa nel tempo. Fortunatamente, come a voler formare una sorta di equilibrio taoista, la traccia successiva 21st century rip off riprende quel suono allegro e positivo che gli anni sessanta ci hanno regalato. E così, tra tracce psichedeliche (“Keep the line moving”, “In your veins”) e tracce da un suono più classico (“Still aging”, “The Flood”) l’album continua su quello che sembra un perfetto equilibrio.

L’album riesce così a conciliare due suoni incredibilmente diversi: il suono caldo, allegro, vivace degli anni sessanta ed il suono scuro, triste, psichedelico degli anni settanta. E ci riesce senza stridii e con una incredibile naturalezza come quasi nessuno è riuscito a fare. Credo che concludere dicendo “album da ascoltare” sia ridondante, ma lo farò in ogni caso: album da ascoltare.