“Night walk” e “I dream in neon”, le prime due canzoni di questo doppio album, hanno dei titoli che ti danno subito il senso di quello che stai ascoltando. “Drifters”, con i suoi 37 minuti gemelli a quelli di “Love is the devil”, è in sostanza un disco notturno, il disco di qualcuno che cammina di notte in mezzo a insegne che si accendono e si spengono ritmicamente. Viene facile descriverlo così con titoli del genere e con la foto di Alex Zhang Hungtai, a.k.a Dirty Beaches, davanti all’ insegna “Dream girls live show”: neon dietro e un bomber addosso ““ chi non ha pensato subito a Ryan Gosling (sì sempre lui) in “Drive” (sì sempre questo film) alzi la mano.

Così, mentre Refn torna al cinema con un altra storia con il non più così giovane Young Hercules che mena uomini in salsa thai (e pare aver disatteso le aspettative di molti), qui torniamo in mezzo ai neon e alle strade deserte di notte: l’altra sera, parlando di questo album ho detto che la prima parte è musica per investire qualcuno nella notte e scappare via (e la persona che era con me ha aggiunto, “magari piangendo disperati”, va bene, aggiungiamo del dramma); e più ascolto questo album più mi pare così ““ ha un’oscurità  affascinante e dai toni un po’ pericolosi.
This is what you get when you mess with us, o qualcosa del genere.

In quasi tutte le interviste che ho letto a Alex, lui non faceva altro che dire, questo non è un cambio di direzione, non sto andando da nessuna parte, piuttosto è un ritorno a quello che facevo prima; a prima di “Badlands” intende, un disco dalle sonorità  meno cupe, che forse sarebbe a questo punto giusto vedere come l’esplorazione di un nuovo set cinematografico (c’è Elvis, c’è un amore un po’ triste, ci sono hamburger e milkshake), piuttosto che come il primo passo verso una produzione nuova. Certo, anche in “Badlands” ogni canzone mi fa pensare ancora ai Suicide: non splende certo un sole estivo nelle sue canzoni, niente falò sulle sue dirty beaches.

In una recente intervista, Hungtai chiede a chi lo recensisce di andare a farsi un giro sul suo bandcamp, dove ha postato tutta la sua produzione: adesso sto ascoltando “Horror” e mi chiedo come qualcuno possa aver pensato che “Drifters” fosse qualcosa di totalmente nuovo, dato che la scenografia costruita in tanti anni di lavoro, quella fatta di motels, dining car chase, window rail seats, drunk driving, night city theme (cito tutti titoli da suoi lavori) è la stessa scenografia in cui far suonare i nuovi pezzi.
è forse “Drifters” a contenere i miei pezzi preferiti dell’ultimo doppio lavoro: “I dream in neon”, “Elli”, “Casino Lisboa”, “Au Revoir mon visage,” praticamente non ne sbaglia una. Non c’è niente di stupefacente per chi conosce abbastanza bene Dirty Beaches, solo una prova matura e perfezionata da anni di allenamento; c’è molto di stupefacente per chi vuole iniziare oggi ad ascoltarlo.
Il discorso si fa un po’ diverso per la seconda parte dell’incisione, quando partono le 8 tracce di “Love is the devil”.
Love is a fog that burns with the first daylight of reality: si cita Bukowski in questo che di base è un break up album (che non t’aspetteresti). Nessuna voce qui, nessun testo: Hungtai parla del dolore senza parole, come se fosse tutto troppo tragico per poter essere messo in versi, troppo personale ““ e nelle interviste che ha rilasciato è piuttosto evidente, anche quando tenta di evitare il discorso, che quando dice che l’amore è il demonio è mortalmente serio.

Fa a meno di ogni eccedenza qui, si spoglia di ogni aggiunta e scrive forse quella che è una delle più belle colonne sonore per un film mai scritto: prendete la title track, “Love is the devil”: la capacità  evocativa di questi 4 minuti e 12 secondi è forse pari a quella di certe scene di qualcosa che mi ricorda, che so, “The place beyond the pines”. Se “Drifters” è un “Drive”, “Love is the devil” è l’ultimo film di Cianfrance. In Cianfrance abbiamo un’ottima colonna sonora che include Mike Patton e i Suicide; qua non siamo poi così lontani. “Alone at the Danube river”, “Like the Ocean we part” (qua c’è una sorta di cantato, profondo e straziante): sono tutte tracce splendide, che non chiedono altro che qualche bravo regista si decida a usare questo materiale per raccontare una storia che non scorderemo facilmente.
Poco da dire, ma ben 75 minuti da ascoltare: un doppio album che è una doppia sorpresa.

Impersonator
[ Zoo – 2013 ]
Similar Artist: Suicide, The Place Beyond The Pines OST
Rating:
1. Night Walk
2.I Dream In Neon
3. Belgrade
4. Casino Lisboa
5. ELLI
6. Au Revoir Mon Visage
7. Mirage Hall
8. Landscapes In The Mist
9. Greyhound At Night
10. This Is Not My City
11. Woman
12. Love Is The Devil
13. Alone At The Danube River
14. I Don’t Know How To Find My Way Back To You
15. Like The Ocean We Part
16. Berlin