E’ la notizia dell’estate per tutti coloro che fanno del motto krankyano “hugs and/or drugs” un modus operandi equilibrato e duraturo. Due ristampe in vinile dei capolavori degli Stars Of The Lid: tre LP per “The Tired Sound of Stars of the Lid” e altri tre per “Stars of the Lid and Their Refinement of the Decline”.

“Things I remember about Austin is just the blistering heat and massive drugs and depression”

A Chicago, terra musicalmente rigogliosa, c’è la Pietra Nera (Kranky) per i devoti di quel genere musicale che si dilunga imperterrito tra loop, droni, neo classicismo e psichedelia ad alzo zero. Ora però bisogna spostarsi nel Texas, ritornando agli anni ’90 quando si sono incontrati Brian McBride – non il calciatore colpito dalla gomitata del tragico De Rossi ai Mondiali 2006 – e Adam Wiltzie. Ad Austin tra un programma radio e l’ondata locale fatta di chitarre sporche nacque la vertigine sonora che evolvendosi negli anni ha dato vita alle due monumentali opere nuovamente disponibili in vinile.
Gli Stars Of The Lid, pur seguendo tracciati diversi, sono tra i pochi che si avvicinano al grande maestro William Basinski e l’epica ambient entra ancora una volta dalla porta sul retro.
Che uno (Wiltzie) viva a Bruxelles e l’altro (McBride) a Los Angeles non fa altro che dilatare a dismisura il tutto in quello che potrebbe sembrare il narcisismo dei progetti paralleli. è solo bulimia compositiva, e chissà  quante sono le registrazioni ambientali non portate a termine negli anni di apparenti paralisi.
Che uno (il suono stanco) sia il lavoro numero 50 del catalogo dell’etichetta e l’altro (Their Refinement Of The Decline) il 100esimo nel medesimo listino Kranky depone a favore di qualche tesi del complotto massonico? O è semplicemente la prosecuzione matematica di un progetto che diventa caposaldo? L’uso sapiente della numerazione non è mai casuale, dall’antichità  il numero riveste un’importanza immane.
Tenendo un filo temporale, “Requiem For Dying Mothers” con le sue parti combacianti squarcia e riflette la luce della luna sui campi seccati dal gran caldo. L’infittirsi dei droni tra le melodie fatte a brandelli traspone i pensieri in un mondo altro, quello dei film mai visti da nessuno o quello degli utopisti di vario genere che scandagliando il cosmo cercano il sistema perfetto. I violini ed il piano diventano le briciole lasciate per ritrovare la strada di casa, poco prima di finire nella suite (3 parti) del “Austin Texas Mental Hospital”. In venti minuti si sviluppano chitarre, feedback, strings e horns a stimolare un moto perpetuo tra i droni sempre presenti, facendo da cornice alle stanze bianche in cui svariati personaggi fissano il muro dinnanzi a loro. Nel trittico successivo “Broken Harbors” l’isolazionismo lancia il proprio eco riportando in primo piano una nostalgia che circonda totalmente l’ascoltatore, sopraffatto dallo stupore e dal candore di un suono prima leggero e poi pesante. La capacità  di variare l’immaginario lungo tutto una scala di colorazioni che corre dal blu al giallo, per finire nel nero. “Mudholland” è un tributo piuttosto facile da comprendere, David Lynch è dietro l’angolo e con le successive “The Lonely People (Are Getting Lonelier)” e “Piano Aquieu” il risultato finale si arricchisce di una luce prima assente. La tastiera sublima un incedere bucolico, torna la pioggia che va a bagnare i terreni prima distrutti dalle temperature; le crepe in cui il terriccio è sprofondato acquisiscono una consistenza al contatto con le gocce, prima di venire arati. La fertilità  del silenzio è sterilizzata in maniera impressionante dalla concitazione, a costo di scontrarsi con l’aporia è utile ricordare che “I don’t really expect anybody to listen to the music, to be perfectly honest”.

In una recente intervista rilasciata a Rolling Stone McBride spiega che “I like late at night because there’s no distractions. There’s very little chance there’s gonna be dogs barking. You’re not gonna get phone calls. Working on the music, for me, it’s kind of important to not fake it in some ways, to not try to force this emotional state out of it, to sort of pay attention to what’s going on in your life, if you’re feeling inspired or motivated just letting it happen”.

E così che in “And Their Refinement Of The Decline” si viene attratti senza poter opporre alcuna resistenza dal mastodontico, l’onnipotenza atterrisce e schiaccia a terra con una potenza sinfonica mai così ben accostata al desolante susseguirsi nei droni.

“Debate is very vocal, very fast. It rarely stops and stares. The music I make is the exact opposite. So, I’m either a complete schizophrenic or really balanced.”

Si parte con “Dungtitled (in A Major)”, la processione tocca i punti sacri del percorso tramite un lento trascinarsi delle gambe. La solennità  risulta amplificata, il rallenty mostra i dettagli, le rughe delle persone che si allineano in più forme a seconda delle emozioni.
Cosa si dovrebbe cercare in un disco del genere? Fare attenzione o no incide sulla percezione delle impercettibili variazioni sul tema? “Articulate Silences” (parte 1 e 2), seppur addolcite dagli archi, trasmettono una latente inquietudine e anche nella maestosa “The Evil That Never Arrived” la sensazione viene rafforzata tra le piccole scosse; Basinski è vicinissimo.
A Craven Cottage ci sono nuvole di dopamina, umidità  dal Tamigi che nel quartiere di Fulham si fa sentire come non mai tra le grida soffocate dei tifosi allo stadio. Tutte le due ore vibrano, il riverbero si insinua tra le partizioni musicali; l’ambiguità  elettronica si fa a tratti triste, elegiaca e totalizzante toccando ogni livello in un range di melodie incastrate una sull’altra.
“A Meaningful Moment Through A Meaning(less) Process” è probabilmente il pezzo più orecchiabile, aggettivo ai limiti della bestemmia quando si parla di ambient. Il piano evoca un tintinnare simile al carillon e si evolve assumendo un lieve stridore prima di sfociare negli affanni di “Another Ballad For Heavy Lids”.
Che nell’ultima parte di declino tornino alla mente i Labradford è nell’ordine delle cose. L’immaginario delle persone che hanno pensato di ascoltare tali lavori è stravolto da essi, “December Hunting For Vegetarian Fuckface” funge da sigillo e da coda. Oltre ad avere uno tra i titoli più belli della storia il pezzo declama in diciassette minuti la potenza di fuoco di McBride e Wiltzie. Ci accompagna per mano verso la metà  corroborando la sensazione di aver compiuto un’impresa: la ricchezza del suono, la stratificazione e l’onnipotenza sono dentro l’ascoltatore che tornerà  di certo alla fonte del piacere.
è un po’ come leggere “l’Orlando Furioso” di Ariosto prima di addormentarsi: si sognano le gesta dei protagonisti eroici e si mette in scena la propria personale colonna sonora riflettendosi nel modello. Perchè sì, gli Stars Of The Lid sono un modello.

P.s. Le reissue generano spesso le discussioni più scatenate sul feticismo delle merci, assoggettamenti che sempre più ci portano a comprare nuovamente oggetti che magari già  conserviamo. Basterebbe leggersi Karl Popper e gli altri pensatori austriaci, saggiamente occultati da un tipo di accademia votata all’autodistruzione, per socchiudere il cassetto nostalgico delle lotte già  perse da svariati decenni.
Per avere il prima possibile l’occasione di viaggiare tra distese altere, allegorie del galleggiamento nel silenzio, micro variazioni e potentissime nuvole di loop c’è il demonio Amazon pronto a servirvi.
Suona brutto, ma la stanca realtà  è qui davanti a noi.