Quanto ci piace il rock’n’roll macchiato, la musica da rossetto un po’ sbavato e ciuffo spettinato dei The Pretenders. O, ancora meglio, quanto ci piace Chrissie Hynde, questa stilosissima superdonna che nonostante abbia superato i 60 anni, è ancora fonte inesaurita di cascate sonore. Chitarrista, voce anima e mente del progetto fin dalla nascita negli Anni Ottanta, con i colleghi di band ha sfidato un mondo popolato da uomini, al confine tra rock’n’roll new wave e punk, per poi spostarsi sempre più verso il mondo del rock dagli sprazzi cantautoriali e pop. Dopo l’album solista del 2014 registrato a Stoccolma, Hynde torna al primo grande amore di band nell’ ultimo e decimo lavoro di studio “Alone”, prodotto dal concittadino di Akron in Ohio Dan Auerbach dei Black Keys (un nome, una garanzia) e registrato nei suoi studi di Nashville.

Una voce avvolgente, intensa e profonda che si adatta alle diverse sfumature dei 12 pezzi proposti: da un brano in stile quasi ballad “Roadie Man” a un mellifluo “Let’s Get Lost” al rock più puro di “Gotta Wait”.
Mai banale o noioso, l’album è un esplosione continua, una serie di fuochi artificiali tutti differenti, dove la musica si compenetra all’essenza di una performer calamitante, fedele a sè stessa senza arenarsi o crogiolarsi nel proprio nome. Hynde è madrina di un rock senza tempo e senza spazio, come la musica bella e ben costruita sa essere e mantenersi.

L’amore puro entra esce e si rinfila nelle tracce, tra la preziosa bellezza di “Blue Eyed Skies” e riflessiva contemplazione di “Death Is Not Enough”, la cavalcata country e gelosa di “I hate myself” e il tocco di rieccheggiante swing di “Never Be Togetehr”.
Come dietro un grande uomo c’è sempre un’ancora più grande donna, così dietro il nome dei Pretenders brilla, dilaga e esplode l’espressività  classica e intramontabile di Chrissie, icona mai di moda e per questo mai passata.

Photo: Matt Holyoak