Le luci della ribalta si stanno per accendere nella maniera più luminosa per Sampha Sisay, conosciuto semplicemente come Sampha. “Process” è il disco d’esordio del giovane producer londinese e licenziato dalla Young Turks, etichetta che ha nel suo rooster gente come FKA twigs e John Talabot, senza contare i pesi massimi The xx. La sua carriera ha inizio nel 2010 con la pubblicazione dell’EP “Sundanza” per poi partecipare nell’album d’esordio di SBTRKT con il duetto in “Hold On”. Da quell’episodio sono seguenti collaborazioni sempre più illustri e il suo nome è apparso negli ultimi lavori di gente del calibro di Drake, Kanye West, Frank Ocean e Solange (la sorellina di Beyoncè).

“Process” è firmato in collaborazione con un produttore importate, lo scozzese Rodaidh McDonald, ed è un lavoro intimo, emozionale e malinconico dove domina la musica e la voce di Sampha che a tratti ricorda quella di James Blake. Il pezzo d’apertura Plastic 100 °C conferma la padronanza dell’artista britannico nell’amalgamare tutti i suoni e i generi ai cui il suo stile attinge; un’amalgama molto bel composta di r&b, soul, rap ed elettronica che diventa sempre più solida e convincente man mano che si prosegue l’ascolto. “Blood on me” ne è la conferma, brano che a tratti ricorda il repertorio dei Massive Attack. Si prosegue con “Kora Sing”, uno dei pezzi più complessi di “Process” con cambi di groove repentini, dove si possono riconoscere delle trame sonore africane sussurrate anche dalla voce di Laura Groves dei Blue Roses. A mio avviso un pezzo notevolissimo che evidenziano ancora di più la notevole vena compositiva di Sampha. Si prosegue con il brano più intimo del disco, “(No One Know Me) Like The Piano” che l’autore dedica alla madre e alla sua infanzia; una sorta di riflessione melanconica al suo passato, sottolineata anche dalle liriche molto intime e introspettive (They said that it’s her time, no tears in sight / I kept the feelings close). Va qui ricordato che tutto il disco per Sampha è una sorta di meditazione sul suo passato e ai tratti drammatici della sua vita, segnata a 28 anni dalla perdita di entrambi i genitori. Ed è proprio alla madre, scomparsa di cancro nel 2015, che Sampha sembra voler dedicare questo brano, mettendo lui stesso protagonista nelle rime.

“Timmy’s Prayer”, scritto insieme Kanye West, racconta le pene di un’uomo irrequieto per amore che Sampha paragona ad un’immaginaria prigione per l’animo. Il brano è probabilmente il momento più importante di “Process”, che rivela un suono autentico, forse il tratto distintivo della musica di Sampha; un R&B electro minimal che un grande critico come David Toop ha definito come “overpoweringly romantic, even though it’s supposed to be a bit disturbing.”

Temi drammatici come morte e malattia vengono bilanciati dalla sua scrittura, forte di una melodia lieve, mai claustrofobia e sempre molto ispirata. Il disco si conclude con una domanda rivolto a se stesso, un What Shouldn’t I Be? con cui artista che in qualche modo archivia il suo passato e guarda felice avanti.
I paragoni con la neo soul di Frank Ocean posso essere scontati, e “Process” può essere considerato la risposta UK a “Blonde”. Ma francamente questi parallelismi lasciano il tempo che trovano. Quello che ci interessa è che siamo di fronte un musicista e compositore importate che ci ha regalato un’esordio sorprendente.